Economia

Il gelo d’agosto cala sull’Eurozona

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Analisi Con il peggioramento delle loro condizioni, la Germania e il blocco centro-europeo rendono ancora più complicato virare verso politiche espansive

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 15 agosto 2014

Il 2014 doveva essere l’anno della ripresa dell’economia reale. I dati usciti in questi giorni e relativi alla prima metà dell’anno indicano come tale previsione fosse eccessivamente ottimistica. Usa e Gran Bretagna sono tra i pochi a vantare una ripresa e un calo della disoccupazione, ma a ritmi più modesti del previsto e al prezzo di politiche monetarie e di stimolo decisamente espansive e di cui si teme tutt’ora la fine. In questi giorni la banca centrale inglese ha dimezzato le previsioni di crescita dei salari, confermando come la crescita, laddove avviene, si afferma al prezzo di ulteriori squilibri sociali.

I dolori arrivano principalmente dal Giappone e dall’Eurozona. La terza economia mondiale, dopo essersi caratterizzata per l’immissione di una significativa massa monetaria, è stata costretta ad aumentare di 3 punti l’Iva per far fronte all’aumentare del proprio debito pubblico (il più elevato dei paesi sviluppati) e tale scelta ha prodotto un crollo del Pil nel secondo trimestre pari al 6,8%.

E’ il dato peggiore dagli inizi del 2011. Come dire che in questa fase ogni volta che alle manovre espansive fanno seguito quelle di consolidamento fiscale, le prime non si dimostrano sufficienti a sopportare le seconde, confermando un corto circuito che va ben oltre la ciclicità. Così vengono annunciate nuove manovre di stimolo all’economia per un valore di 50 miliardi di dollari.

Il grande malato, però, è rappresentato dall’Eurozona. La recessione italiana, delineata in ragione di una diminuzione della domanda estera, ora viene confermata dai dati di Eurostat sul secondo trimestre dei principali partner. La Francia non cresce per il secondo trimestre consecutivo, confermando per quest’anno il mancato rispetto del rapporto deficit/Pil al 3%, previsto invece oltre il 4%.

La presunta locomotiva tedesca, dopo una crescita rivista dallo 0,7% allo 0,8% nel primo trimestre, diventa addirittura negativa per 0,2% nel secondo. Il segno meno nel Pil della Germania non si vedeva da due anni. Le previsioni su base annua ora rischiano di vedersi dimezzate. Ma è nel complesso l’Europa dei 18 a soffrire con una crescita pari a zero tra aprile e giugno (era allo 0,2% nel primo trimestre), mentre è data ancora allo 0,76% su base annua.

La Grecia riduce la sua contrazione del Pil, ma resta con il segno meno, mentre crescono paesi come Portogallo e Spagna. Il fatto che la ripresa dello 0,6% di quest’ultima sarebbe l’effetto della riforma del mercato del lavoro rischia di essere fuorviante per paesi come l’Italia, che in ragione del suo apparato industriale risente maggiormente dello stallo generale.

Alcuni paesi evitano la recessione riprendendo a crescere, ma sempre con cifre molto inferiori all’1%. Sostanzialmente si può affermare che l’Europa stia vivendo una difficile fase di stagnazione a cui si aggiunge il rischio deflazione. Qui fanno molto male proprio Spagna e Portogallo (-0,4% e 0,7%) e la media continentale dell’inflazione si riduce ulteriormente da giugno a luglio dallo 0,5 allo 0,4%.

Il rischio deflazione tanto temuto da Mario Draghi costituisce un ostacolo alla crescita, poiché da un lato orienta gli attori economici a rinviare consumi e investimenti, contribuendo ad alimentare la spirale della crisi, e dall’altro rende più difficile far fronte alla montagna dei debiti pubblici, dato che la diminuzione dei tassi d’interesse sul debito non compensa il calo dei prezzi.

La lettera mancante di questo rebus è costituita da una strategia per la crescita, condizione indispensabile per far ripartire l’economia stabilmente, ridurre i debiti pubblici e privati, dare ossigeno al declinante Vecchio continente. E i guai giungono proprio sul versante delle possibili vie d’uscita.

I nuovi dati negativi poi contribuiscono a complicare le cose. Paesi come Francia e Italia parlano di politiche di bilancio flessibili, ma non lasciano intravedere una strada per la ripresa, Germania e blocco centro-europeo non solo mantengono la linea dell’austerity, ma a fronte del peggioramento delle proprie condizioni rendono ancor più complicato virare verso politiche espansive e di allentamento dei conti. La Bce chiede riforme strutturali in cambio di aiuti. Verrebbe voglia di scappare…

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