ExtraTerrestre

«120 infrastrutture fossili in discussione al Mite, è l’eredità di Cingolani»

Intervista Legambiente ha censito centrali a gas, depositi e autorizzazioni per nuove trivellazioni. Una mappa per il nuovo governo

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 29 settembre 2022

Al ministero della Transizione ecologica stanno in valutazione oltre 120 infrastrutture fossili, tra centrali termoelettriche, metanodotti, depositi per lo stoccaggio del gas, rigassificatori e autorizzazioni per nuove trivellazioni. Le ha censite Legambiente, che alla vigilia del Global Climate Strike di venerdì 23 settembre ha diffuso la mappa «L’Italia fossile». «Il nostro obiettivo – spiega all’ExtraTerrestre il presidente dell’associazione, Stefano Ciafani – era rappresentare visivamente e numericamente quello che abbiamo raccontato nell’ultimo anno e mezzo di operato del ministero della Transizione ecologica del governo Draghi».

Ciafani, che cosa racconta la mappa?

In particolare negli ultimi dodici mesi, ancor prima della guerra in Ucraina, il ministero guidato da Cingolani ha lavorato di più per diversificare i Paesi da cui ci approvvigioniamo di gas che per favorire concretamente lo sviluppo delle energia rinnovabili, che permetterebbero di ridurre gradualmente, fino ad azzerare, i consumi di gas per la produzione di energia. Nella pratica, questo significa che sul tema della diversificazione dell’approvvigionamento si è andati a velocità più sostenuta e con la “mappa” abbiamo voluto far vedere il processo in corso, perché fa impressione visualizzare oltre 120 infrastrutture di diverso tipo, dalle nuove centrali a gas fino alle infrastrutture come gasdotti, rigassificatori o depositi.

A chi è indirizzata?

Ai cittadini, all’opinione pubblica. Devono essere consapevoli che a parole si lavora per la transizione ecologica, ma nei fatti no. Come si vede, la questione riguarda tutto il Paese e il ministero non ha messo la stessa intensità per velocizzare e rafforzare le valutazioni messe in campo per autorizzare i progetti rinnovabili. Serve quella spinta politica che un ministro dovrebbe garantire e che non c’è stata.

Cosa significa e perché non ha senso realizzare un rigassificatore o autorizzare nuovi permessi di ricerca gas nel 2022?

Se dobbiamo ridurre i consumi di gas, è stato scritto anche nel Piano nazionale per l’inverno 2022/2023, non si capisce perché oggi ci stanno decine di progetti di nuovi gruppi a gas: questi investimenti rischiano di ingessare il Paese. Lo stesso vale per i rigassificatori: perché si è optato per l’acquisto e non per l’affitto per tre anni, se questo è l’orizzonte di utilizzo? E ancora sui nuovi gasdotti: per realizzarli si impiegano anni e rappresentano un investimento ammortizzabile in decenni, ormai oltre il 2050, cioè oltre il traguardo entro il quale l’Italia, come ha deciso di fare tutta l’Europa, deve decarbonizzarsi. Anche questi investimenti, quindi, ingessano il Paese. C’è poi la ripartenza dell’estrazione di gas nazionale, in terraferma e nei fondali marini: se n’è parlato a lungo anche in campagna elettoriale, senza dire però che tra la scoperta di un giacimento e il primo metro cubo estratto passano in media tra i due e i tre anni. Questo significa che non serve a fronteggiare l’emergenza che riguarda i prossimi due o tre mesi.

I partiti che hanno affrontato l’ultima campagna elettorale lo hanno capito?

Chi avanza queste proposte o, come la Lega e anche Forza Italia, parla di nucleare, dimostra di non aver mai discusso con i titolari delle aziende che oggi chiedono di investire sulle rinnovabili. Se vogliamo curare gli interessi nazionali non dobbiamo più dipendere dall’estero, ma l’unico modo per realizzare questo slogan è investire in impianti industriali da fonti rinnovabili e nella disseminazione delle comunità energetiche. Le prime varranno l’80% in termini di energia prodotta, le seconde il 20%, garantendo però un immediato ritorno a livello economico a chi ne fa parte, riducendo il costo dell’energia.

Anche il programma elettorale di Fratelli d’Italia è deludente di fronte ai cambiamenti climatici: che futuro vedi per la transizione ecologica?

Il programma del centrodestra, presentato ad agosto, è molto vago e richiama “il ricorso al nucleare pulito e sicuro”. Quello di FdI, diffuso in seguito, sul nucleare fa riferimento solo alla ricerca e parla di incentivare la produzione di gas. Offre però anche spunti da cui è importante ripartire: lavorare per ricostruire una filiera produttiva per la transizione energetica, parlando di reti e di accumuli, per sburocratizzare le procedure autorizzative per le rinnovabili e l’avvio delle comunità energetiche. I titoli, quindi, ci stanno. Credo, come ho già spiegato, che sia un errore pensare all’aumento della produzione di gas nazionale. Non si commette l’errore fatto da Salvini e Calenda sul nucleare. Per tutto ciò che non è esplicitato, spero che l’Europa non permetta all’Italia di “deragliare” e ci auguriamo che il nostro Paese non ripeta quanto fatto nella discussione sullo stop al 2035 delle auto a combustione interna, che ci ha visti più vicini alle posizioni del Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) che non a Germania e Francia, i Paesi che spingono per politiche più ambiziose. L’augurio è che l’Italia faccia quello che dice la Commissione europea, che è guidata da un leader conservatore. Se andiamo lentamente la transizione travolgerà il sistema produttivo italiano.

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