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Il G8 dimentica occupazione militare e colonie israeliane

Il G8 dimentica occupazione militare e colonie israeliane

Territori Palestinesi Gli analisti sottolineano che i leader degli otto Paesi più industrializzati chiedono il ritorno alle trattative senza precondizioni, come vuole il premier Netanyahu per proseguire l'espansione degli insediamenti

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 20 giugno 2013

Come dare torto a Daoud Kuttab, giornalista palestinese che per quasi trent’anni ha raccontato quanto avviene nella sua terra, dalla prima e seconda Intifada ai falliti “processi di pace”. Ne ha viste di tutti i colori e ieri non riusciva a capacitarsi dell’assenza dal comunicato finale del G8 di qualsiasi riferimento all’occupazione militare, che opprime il popolo palestinese da 46 anni, e alla minaccia – per qualsiasi soluzione negoziata del conflitto – rappresentata dalla colonizzazione israeliana dei Territori.

Opportunamente Kuttab, che da qualche tempo collabora con il giornale web al Monitor, ci fa notare che invece i leader del G8 non hanno mancato di sollecitare israeliani e palestinesi a «Direct negotiations without preconditions», ossia a riprendere le trattative senza precondizioni, come vuole il premier Benyamin Netanyahu che non ha alcuna intenzione di bloccare l’espansione degli insediamenti chiesta dai palestinesi. «Invece di indicare chi è l’aggressore e chi rifiuta la pace, i leader degli otto Paesi più industrializzati adottano il linguaggio degli israeliani», ha scritto Kuttab, non mancando di rilevare il rituale appello fatto dal G8 a proseguire il sostegno finanziario dell’economia e delle istituzioni palestinesi.

Di fronte a tali premesse, le indiscrezioni che circondano la quinta  missione in cinque mesi nella regione di John Kerry (forse il 28 giugno) finiscono per generare nei palestinesi non speranze ma preoccupazioni. Pare che il Segretario di Stato arriverà con in tasca proposte “prendere o lasciare”. In sostanza Kerry dovrebbe “suggerire” una moratoria israeliana non annunciata di qualche mese sulle nuove costruzioni nelle colonie in modo da non “imbarazzare” Netanyahu di fronte alla sua opinione pubblica (come se gli insediamenti colonici non fossero una violazione delle leggi internazionali). In cambio il presidente palestinese Abu Mazen tornerà subito alle trattative bilaterali, incassando, peraltro, i miliardi di dollari in investimenti nei Territori occupati promessi dal Segretario di Stato nel quadro dell’ennesimo “Piano Marshall” per la Palestina.

Ci deve essere del vero in queste indiscrezioni perchè da qualche giorno diversi ministri e vice ministri israeliani, legati ai partiti ultranazionalisti, hanno cominciato un fuoco di sbarramento, in apparenza per impedire la «resa» di Netanyahu agli Usa e al nemico palestinese. L’ultimo in ordine di tempo è stato il ministro dell’edilizia (cioè delle colonie) Uri Ariel che si è lamentato perchè «a Gerusalemme (Est, araba) dall’inizio dell’anno non ci sono state attività di marketing di nuove case». Prima di lui, il ministro dell’economia, Naftali Bennett, protettore dei coloni, aveva messo in chiaro che lo Stato di Palestina «è una idea morta».

Ben poco è destinato a cambiare sul terreno anche con la «moratoria» che vorrebbe ottenere Kerry, se si considerano i progetti per migliaia di nuovi alloggi nelle colonie approvati dal governo israeliano negli ultimi mesi e che non rientreranno nel «blocco non dichiarato». Abu Mazen lo sa ma, sotto pressione, potrebbe cedere e andare a vedere se l’Amministrazione ha davvero in mano il poker d’assi, come lasciano intendere Obama e Kerry, o se si tratta del solito bluff. In ogni caso non sarà lui a incassare il piatto.

L’occupazione, quella che i leader del G8 dimenticano – incluso il premier italiano Letta atteso a Gerusalemme il 30 giugno –, nel frattempo va avanti. Quella tra martedì e mercoledì è stata una notte di arresti in Cisgiordania, dove reparti speciali israeliani hanno fermato 10 palestinesi tra i 15 e i 30 anni. Arresti sono stati eseguiti a Jenin, Hebron, Dura e a Gerusalemme Est.  Le autorità israeliane tre giorni fa hanno impedito l’ingresso in Cisgiordania a tre artisti arabi di entrare in Cisgiordania,  dove erano attesi a Ramallah per un concerto. Secondo la Ong palestinese “Applied Research Institute-Jerusalem”, il governo israeliano intenderebbe confiscare circa 2500 ettari nel territorio di Betlemme, con l’obiettivo di ampliare i confini di Gerusalemme e di realizzare il progetto della “Grande Gerusalemme”.

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