ExtraTerrestre

Il futuro dei popoli indigeni è il nostro futuro

In queste settimane abbiamo spesso sentito parlare del legame fra la perdita di ecosistemi e la diffusione di nuove epidemie. Già nel 2016 il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente […]

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 7 maggio 2020

In queste settimane abbiamo spesso sentito parlare del legame fra la perdita di ecosistemi e la diffusione di nuove epidemie. Già nel 2016 il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) avvertiva che le zoonosi, ovvero il passaggio di malattie dagli animali all’uomo, stavano avvenendo con un ritmo più veloce: «La distruzione degli ecosistemi per lo sfruttamento delle risorse, per l’attività agricola o per nuovi insediamenti umani sta offrendo nuove opportunità per lo spillover degli agenti patogeni dagli animali selvatici all’uomo, anche perché la perdita della biodiversità ha compromesso la capacità della natura di creare barriere a queste malattie». Le foreste in particolare – come ci ricorda l’ISPRA hanno la facoltà di limitare la propagazione di agenti patogeni dalla fauna selvatica alle persone; quando invece la biodiversità è minacciata, il servizio eco-sistemico di controllo delle malattie è compromesso ed è più probabile che emergano agenti patogeni.
In ogni regione del pianeta, dall’Artico alla Patagonia, fino al deserto australiano, le isole del Pacifico o la Siberia, i popoli indigeni sono coloro che abitano la biodiversità senza arrecare danno agli ecosistemi. Proprio per questa straordinaria capacità che accomuna popoli molto diversi che vivono ad ogni latitudine, le culture indigene rappresentano un patrimonio inestimabile per l’intera umanità. Riconoscendo il valore delle cosmovisioni e delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni, nel suo ultimo congresso internazionale Slow Food ha voluto assumere l’impegno di amplificare la loro voce.

Lo abbiamo fatto nei mesi scorsi, quando i popoli indigeni dell’Amazzonia denunciavano gli incendi che aprivano la strada all’invasione delle loro terre. Poi, lo scorso 5 febbraio, il presidente Bolsonaro ha firmato un progetto di legge autorizzando l’estrazione mineraria su larga scala nei territori indigeni, l’estrazione di gas e petrolio e altre attività devastanti: «Il suo sogno, Signor Presidente – aveva risposto Sonia Guajajara, leader indigena – è il nostro incubo… L’attività estrattiva significa morte, malattie e miseria, e mette fine al futuro di un’intera generazione. Non accetteremo attività estrattive nella nostra terra». Poi l’arrivo della pandemia ha obbligato le organizzazioni indigene a far fronte a una nuova emergenza: «L’abbandono delle comunità da parte dei programmi pubblici e l’abbandono dei governi di fronte a questa emergenza sono al confine con il criminale» ha dichiarato Gregorio Mirabal, coordinatore generale della COICA, del popolo Wakuenai Kurripaco (Venezuela) con un nuovo appello ad affrontare questa emergenza umanitaria e sanitaria. Allo stesso modo, il leader della COICA ha denunciato che «gli aiuti umanitari sono distribuiti in base al favoritismo e alle convenienze politiche ed elettorali: le popolazioni indigene stanno ora pagando il prezzo per resistere alla violazione dei nostri diritti e dei diritti della Terra».

Proteggere le comunità indigene oggi significa proteggere l’umanità intera dalle pandemie che possono arrivare se non salveremo le foreste tropicali. Gli indigeni sono alleati chiave per curare la nostra casa comune e garantire l’equilibrio planetario. Dobbiamo ascoltare il loro dolore.

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