Scuola

Il futuro con ironia nella scuola come comunità

Il futuro con ironia nella scuola come comunità

Giovani speranze Gli umani che abitano le aule sono capaci di scoperte, di riconoscimenti, possono creare una comunità di dubbi e domande, conoscenze, desideri, come abbracci che vanno oltre il set scolastico.

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 27 agosto 2022

Guido Viale ha scritto un articolo (il manifesto, 11 agosto) non privo di speranze. Rivolte in particolare alle e ai giovani, anche con riferimento alla scuola, come luogo di costruzione di sensibilità e saperi all’altezza del disastro. E a scuola effettivamente succedono cose belle.

Per tanti anni mi è capitato di arrivare triste e depresso, dopo le rassegne stampa ascoltate in auto, e di uscire invece felice: per quello che avevo vissuto, per quello che avevo sentito e visto negli occhi di ragazze e ragazzi. Gli umani che abitano le aule sono capaci di scoperte, di riconoscimenti, possono creare una comunità di dubbi e domande, conoscenze, desideri, come abbracci che vanno oltre il set scolastico. E rovesciano la megamacchina sempre più burocratica, sempre più ossessionata dalla contabilità di crediti, debiti, rendicontazioni, medie e voti. Miserabili meritocrazie.

Ma forse quello che può arrivare dalle scuole, nel senso che auspica Guido Viale, in un certo senso prescinde dall’attività scolastica. Ha a che fare con la dimensione comunitaria, con il campo magnetico di relazioni, di sapere e di affetti; con la pedagogia, come scriveva Pasolini, prodotta anche dalle cose: oggetti, paesaggi, modelli di comportamento e di “abitazione” delle aule. Quando scrive il suo trattatello pedagogico per Gennariello, Pasolini esprime tutto il suo orrore per il nuovo mondo borghese del consumismo universale, della bruttezza generalizzata, dell’edonismo che distrugge i valori dell’autenticità popolare di un tempo. Soprattutto nel mondo giovanile.

E tuttavia, a mezzo secolo di distanza, a me pare che nelle manifestazioni del Friday For Future si sia visto qualcosa d’importante, e di sorprendente. Almeno nella mia città, a Firenze. Intanto la dimensione ecologica ed etica che impegna a sentirsi parte del mondo e non padroni, onnipotenti. Una dimensione etica straordinariamente politica, come già nelle encicliche di Francesco, e già nelle strade piene di giovani del Black Lives Matter.

Ma poi, con molta ironia buffa e corrosiva, una specie paradossale di edonismo ribelle, di consumismo radicale, di disperata vitalità che chiede tempo e spazio, cioè futuro. E che potrebbe essere incompatibile con il mondo borghese neoliberista che la produce.

Per le strade un mare di cartelli, soprattutto di ragazze, scritti a mano con modesti pennarelli, sul retro di cartoni di amazon o di detersivi. Testi che partono spudoratamente da se stesse. Con ironia e autoironia: le stagioni sono più irregolari del mio ciclo; c’è più foresta sulle mie gambe che sull’intero pianeta terra; la crisi climatica è più vera dell’orgasmo delle vostre mogli; io sono calda quanto questa terra; se si alza il mare è un problema perché io sono bassa; se si sciolgono i ghiacciai come lo facciamo il mojito? sopra i 40 gradi solo gli alcolici. Diritto al gioco, in un mondo lontano dagli adulti.

Alla base, una grande festosa percezione del proprio corpo come linguaggio e sapere. Il femminismo ha lasciato il segno, e di segni sono pieni i corpi delle ragazze e dei ragazzi. Corpi densi delle loro gioie, delle sofferenze e dei desideri.

Intendiamoci, credo sia una specie di sentimento quello che si manifesta, molto informe e fluido, che emerge ogni tanto. Sembra lontanissimo da qualunque idea di organizzazione, di rappresentanza politica – più o meno quanto le istituzioni politiche sono lontane da queste ragazze e ragazzi. Che nemmeno vedono. E lasciamo perdere la sinistra, che ha realizzato la perfezione che Giorgio Caproni attribuiva a Dio: quella di non esistere. Loro si autorappresentano così, in una esplosione di alterità gioiosa, malgrado tutto. La gioia che è sempre nel ritrovarsi e riconoscersi, però contro.

Può darsi esageri un po’ nelle speranze – peraltro senza una certa dose di fiducia in ragazze e ragazzi non si può fare scuola né parlare di politica – ma a me sembra che questo desiderio e gioia di vivere non siano spento conformismo affine al potere, come lo descriveva Pasolini. Ma possibile conflitto. La sessualità come rivendicazione di libertà e autonomia.

Desiderio ancora di pane e di rose, di amore e di futuro, che forse avvicina ragazze e ragazzi del FFF ai giovani operai con orecchino e tatuaggi della (ex) GKN di Firenze. Quelli che volevano fare una giostra per bambini con i robot della fabbrica. Operai che non sono quelli degli anni 40 o 50 ma nemmeno credo aspirino più all’omologazione con la squallida piccola o grande borghesia. Impossibile. Deprimente.

La lotta di classe non è solo una questione economica, casomai di economia politica.  C’è un piano su cui hanno vinto i padroni. In un’antica vignetta geniale di Altan, quando un compagno dice, Cipputi mi sa che la lotta di classe è finita, lui risponde: Allora qualcuno avverta i padroni, che non continuino da soli. Ecco, hanno continuato. Solo loro. Difficile che perdessero.

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