Il futuro con ironia nella scuola come comunità
Giovani speranze Gli umani che abitano le aule sono capaci di scoperte, di riconoscimenti, possono creare una comunità di dubbi e domande, conoscenze, desideri, come abbracci che vanno oltre il set scolastico.
Giovani speranze Gli umani che abitano le aule sono capaci di scoperte, di riconoscimenti, possono creare una comunità di dubbi e domande, conoscenze, desideri, come abbracci che vanno oltre il set scolastico.
Guido Viale ha scritto un articolo (il manifesto, 11 agosto) non privo di speranze. Rivolte in particolare alle e ai giovani, anche con riferimento alla scuola, come luogo di costruzione di sensibilità e saperi all’altezza del disastro. E a scuola effettivamente succedono cose belle.
Per tanti anni mi è capitato di arrivare triste e depresso, dopo le rassegne stampa ascoltate in auto, e di uscire invece felice: per quello che avevo vissuto, per quello che avevo sentito e visto negli occhi di ragazze e ragazzi. Gli umani che abitano le aule sono capaci di scoperte, di riconoscimenti, possono creare una comunità di dubbi e domande, conoscenze, desideri, come abbracci che vanno oltre il set scolastico. E rovesciano la megamacchina sempre più burocratica, sempre più ossessionata dalla contabilità di crediti, debiti, rendicontazioni, medie e voti. Miserabili meritocrazie.
Ma forse quello che può arrivare dalle scuole, nel senso che auspica Guido Viale, in un certo senso prescinde dall’attività scolastica. Ha a che fare con la dimensione comunitaria, con il campo magnetico di relazioni, di sapere e di affetti; con la pedagogia, come scriveva Pasolini, prodotta anche dalle cose: oggetti, paesaggi, modelli di comportamento e di “abitazione” delle aule. Quando scrive il suo trattatello pedagogico per Gennariello, Pasolini esprime tutto il suo orrore per il nuovo mondo borghese del consumismo universale, della bruttezza generalizzata, dell’edonismo che distrugge i valori dell’autenticità popolare di un tempo. Soprattutto nel mondo giovanile.
E tuttavia, a mezzo secolo di distanza, a me pare che nelle manifestazioni del Friday For Future si sia visto qualcosa d’importante, e di sorprendente. Almeno nella mia città, a Firenze. Intanto la dimensione ecologica ed etica che impegna a sentirsi parte del mondo e non padroni, onnipotenti. Una dimensione etica straordinariamente politica, come già nelle encicliche di Francesco, e già nelle strade piene di giovani del Black Lives Matter.
Ma poi, con molta ironia buffa e corrosiva, una specie paradossale di edonismo ribelle, di consumismo radicale, di disperata vitalità che chiede tempo e spazio, cioè futuro. E che potrebbe essere incompatibile con il mondo borghese neoliberista che la produce.
La redazione consiglia:
Datemi un cartello e solleverò il mondoPer le strade un mare di cartelli, soprattutto di ragazze, scritti a mano con modesti pennarelli, sul retro di cartoni di amazon o di detersivi. Testi che partono spudoratamente da se stesse. Con ironia e autoironia: le stagioni sono più irregolari del mio ciclo; c’è più foresta sulle mie gambe che sull’intero pianeta terra; la crisi climatica è più vera dell’orgasmo delle vostre mogli; io sono calda quanto questa terra; se si alza il mare è un problema perché io sono bassa; se si sciolgono i ghiacciai come lo facciamo il mojito? sopra i 40 gradi solo gli alcolici. Diritto al gioco, in un mondo lontano dagli adulti.
Alla base, una grande festosa percezione del proprio corpo come linguaggio e sapere. Il femminismo ha lasciato il segno, e di segni sono pieni i corpi delle ragazze e dei ragazzi. Corpi densi delle loro gioie, delle sofferenze e dei desideri.
Intendiamoci, credo sia una specie di sentimento quello che si manifesta, molto informe e fluido, che emerge ogni tanto. Sembra lontanissimo da qualunque idea di organizzazione, di rappresentanza politica – più o meno quanto le istituzioni politiche sono lontane da queste ragazze e ragazzi. Che nemmeno vedono. E lasciamo perdere la sinistra, che ha realizzato la perfezione che Giorgio Caproni attribuiva a Dio: quella di non esistere. Loro si autorappresentano così, in una esplosione di alterità gioiosa, malgrado tutto. La gioia che è sempre nel ritrovarsi e riconoscersi, però contro.
Può darsi esageri un po’ nelle speranze – peraltro senza una certa dose di fiducia in ragazze e ragazzi non si può fare scuola né parlare di politica – ma a me sembra che questo desiderio e gioia di vivere non siano spento conformismo affine al potere, come lo descriveva Pasolini. Ma possibile conflitto. La sessualità come rivendicazione di libertà e autonomia.
Desiderio ancora di pane e di rose, di amore e di futuro, che forse avvicina ragazze e ragazzi del FFF ai giovani operai con orecchino e tatuaggi della (ex) GKN di Firenze. Quelli che volevano fare una giostra per bambini con i robot della fabbrica. Operai che non sono quelli degli anni 40 o 50 ma nemmeno credo aspirino più all’omologazione con la squallida piccola o grande borghesia. Impossibile. Deprimente.
La lotta di classe non è solo una questione economica, casomai di economia politica. C’è un piano su cui hanno vinto i padroni. In un’antica vignetta geniale di Altan, quando un compagno dice, Cipputi mi sa che la lotta di classe è finita, lui risponde: Allora qualcuno avverta i padroni, che non continuino da soli. Ecco, hanno continuato. Solo loro. Difficile che perdessero.
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