Il Franja, ospedale resistente
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Il Franja, ospedale resistente

Storie Un nubifragio che si è abbattuto sulla Slovenia ha danneggiato l’ospedale partigiano a pochi chilometri da Gorizia. Ma anche questa volta il «monumento dell’umanità» tornerà a mostrarsi
Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 luglio 2023

Il nubifragio che lo scorso giovedì si è accanito sul basso Friuli ha poi continuato la sua corsa in Slovenia causando seri danni anche a Franja, l’Ospedale partigiano della zona di Idrija, una cinquantina di chilometri da Gorizia. Un simbolo e una straordinaria rappresentazione di umanità e dei valori e i sogni della lotta partigiana.

La Resistenza in Jugoslavia era nata nel 1941 in risposta all’occupazione e alla spartizione tra italiani e tedeschi del territorio. C’era la necessità di curare i partigiani feriti e in Slovenia, nel paesino di Cerkno, lo si faceva in una fattoria. Una situazione resa pericolosissima dai continui rastrellamenti e, come si sa, i nazifascisti non si facevano scrupolo nell’ammazzare chiunque, fossero donne bambini vecchi o malati. Era stato un contadino a portare il dott. Viktor Voljak nella gola di Pasice, così nascosta e lontana da ogni sentiero e da qualsiasi frequentazione: una camminata in salita nel bosco fitto fino alle rocce che affiorano dal torrente formando piccole piattaforme tra i salti e le cascate e poi le pareti verticali così alte che filtra solo una striscia di luce.

L’OSPEDALE PARTIGIANO era nato così, con il lavoro di partigiani e di gente del luogo. Molto di quello che serviva arrivava dai villaggi ma dopo l’8 settembre 1943 si era potuto portar via un bendiddio dalle caserme abbandonate dagli italiani, perfino l’intera strumentazione per i raggi X. I rifornimenti di cibo e medicinali erano garantiti dall’impressionante capacità organizzativa del Comitato di Liberazione che riusciva a rifornire costantemente 120 ospedali partigiani nella sola Slovenia. Nella gola di Pasice non si smise mai di aggiustare, modificare, costruire nuove baracche e migliorare le soluzioni per restare invisibili pur dovendo purificare l’acqua, sterilizzare strumenti e biancheria, cucinare, scaldarsi. Invisibili e inespugnabili: zone minate, postazioni di guardia, turni di pattugliamento, rifugi sotterranei e una serie di bunker lassù, fin quasi a 900 metri, scavati nella roccia a strapiombo che, in momenti di pericolo, ospitavano tre partigiani e una mitragliatrice. La gola è stata attaccata due volte, bombe tedesche dal cielo, ma Franja non è stato mai scoperto.

L’OSPEDALE AVEVA PRESO subito il nome dalla dottoressa Franja Bojc Bidovec che lo dirigeva e che, oltre a prendersi cura dei malati, organizzava corsi di formazione per infermieri così da poter utilizzare anche i volontari che arrivavano dai mestieri più diversi. Al Franja si medicava, si operava, si immobilizzavano arti fratturati e, se l’intervento chirurgico era particolarmente complesso si chiamava il dott. Derganc della squadra chirurgica volante del IX Corpus. Il dott. Derganc! Quello che aveva lavorato in Francia potendo così lasciare esterrefatto e felice il giovane partigiano francese Jean Chevalier che, risvegliatosi dall’anestesia, si era sentito salutare nella sua lingua. Anche tenere alto il morale contava, allora si leggevano le lettere di incoraggiamento che venivano spedite dalle più svariate località, si cantava, tanto, e si stampava persino un giornale scritto a macchina e con i disegni fatti a mano. C’era un Commissario politico che assieme all’infermiera Pavla Leban organizzava letture, piccole recite, momenti conviviali con spettacoli e musica.

Superava il centinaio il personale del Franja, nella maggior parte sloveni ma anche italiani. C’era il medico piemontese Antonio Ciccarelli, operativo per tutto il 1944 e poi dirigente del servizio sanitario della Divisione Garibaldi Natisone. C’erano goriziani e monfalconesi medici infermieri corrieri guardie e la friulana Adelina Zanitti che si occupava della cucina. Anche un siciliano, l’infermiere Giuseppe Costanzo da Tortorici. Tra i molti in quella sorta di Babele dove si incrociavano tante diverse lingue c’era anche il calzolaio austriaco Alois Trummel, già della Wermacht, che confezionava scarponi nel laboratorio.

C’erano poi i feriti, i malati, presi in carico senza badare a nazionalità o appartenenza: partigiani, civili, militari dell’Asse. Soprattutto partigiani, certo, e parecchi erano italiani come Rino Blasigh di Marano Lagunare (Ud) morto il 23 aprile 1945, a un passo dalla vittoria, sepolto nel piccolo cimitero con accanto, come gli altri 86 che non si riuscirono a salvare, una bottiglietta contenente una striscia di carta con i suoi dati e la sua storia. Ma la maggioranza era tornata, guarita, a combattere come il triestino Guido Knez e centinaia di altri. Tante storie di coraggio e solidarietà, si pensi al tenente americano Harold Adams – uno dei trecento piloti americani salvati in Jugoslavia – portato al Franja a spalla in 14 ore di cammino nei boschi.

IL FRANJA HA SEMPRE subìto le ingiurie del clima. Curato amorevolmente con manutenzioni costanti è riuscito a superare anche il tragico settembre del 2007 quando una violenta tempesta e l’esondazione furiosa del torrente Cerinšcica aveva spazzato via undici delle quattordici baracche: si era gridato «Franja non esiste più» ma dopo due anni di lavori è tornato com’era. Perduti centinaia di oggetti, strumenti, documenti e un po’ “nuovo” senza l’inconfondibile patina del passato, ma Franja non ha smesso di esserci.

E OGGI, DOPO IL NUBIFRAGIO di giovedì scorso? Dissestato il sentiero che attraversa il bosco fino al ponte rimovibile che segna l’ingresso all’Ospedale, distrutte la centrale elettrica, la cucina e la baracca delle radiografie e tanti danni a un numero imprecisato di finestre, mobili, stanze, scale. Ma Franja riaprirà, ancora una volta, il «gioiello nascosto nel cuore d’Europa» tornerà a mostrarsi. Venerdì mattina è stato completato il sopralluogo del personale del Museo di Idrija – che lo gestisce – con i Vigili del fuoco e i rappresentanti del ministero della Cultura e già nel pomeriggio si cominciava a liberava il sito dai detriti. Perché Franja è un monumento nazionale, ha il marchio di Patrimonio d’Europa ma, come scrive il sito del Museo è un «Monumento dell’Umanità».

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