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Il fossile made in Snam

Multinazionali Re:Common denuncia le attività di una delle principali società energetiche del mondo che si spaccia come attore della transizione ecologica costruendo gasdotti e sponsorizzando l’idrogeno poco green

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 22 aprile 2021

Per usare un eufemismo, il gas è finito. Si tratta di una cesura importante con il passato, ma senza la fine dell’uso sregolato di combustibili fossili non saremo in grado di raggiungere gli obiettivi climatici». Inizia così L’ingiusta transizione. Come Snam sta svendendo il nostro futuro, la nuova pubblicazione scritta e pubblicata dell’organizzazione Re:Common. Nessuno negli anni precedenti avrebbe potuto ipotizzare che il presidente della Banca Europea per gli Investimenti (Bei) potesse fare dichiarazioni tanto rivoluzionarie. L’istituto che presiede, infatti, ha finanziato gasdotti e rigassificatori per svariati miliardi di euro, inclusi il contestato Tap o più di recente il nuovo rigassificatore di Cipro. Da questa sorta di illuminazione sulla via di Damasco inizia il viaggio di Re:Common alla «scoperta» di Snam. Partendo dai territori per poi arrivare alle potenti lobby dei palazzi di Bruxelles, l’associazione cerca di far luce sui tanti interrogativi che sorgono sulla multinazionale italiana e sul suo ruolo nella transizione energetica di cui tanto si parla.

SNAM E’ «UNA DELLE PRINCIPALI SOCIETA’ di infrastrutture energetiche al mondo», separatasi dal gruppo Eni nel 2012 e per poi passare sotto il controllo di Cassa depositi e prestiti. Un’azienda forse ancora poco nota ai più, ma che è il principale operatore nel settore del trasporto del gas in Europa e che in tutto il Pianeta gestisce ben 41 mila chilometri di gasdotti, di alcuni dei quali è anche azionista.

COME SI COLLOCA SNAM RISPETTO alla transizione energetica? Siamo di fronte al consueto caso di bipolarità aziendale in tempi di emergenza climatica conclamata: da un lato la corporation è protagonista di un’espansione nel settore delle infrastrutture del gas, con scalate di competitors (come nel caso della greca Desfa), acquisizioni di quote importanti di terminal Gnl (Gas Naturale Liquefatto) nel Mediterraneo e la costruzione di nuovi gasdotti, dall’altro si presenta come attore fondamentale nella transizione ecologica, che secondo la sua lettura dovrebbe passare prima dal gas e poi da biogas e idrogeno (anche se prodotto da fossili).

COMPRENDERE OGGI LA COSTELLAZIONE degli interessi Snam ci porta direttamente in Europa, dove l’impresa e il suo ad Marco Alverà, hanno acquisito nel corso degli anni una posizione di rilievo nell’alveo dei portatori d’interesse «fossile». Per esempio, la compagnia è stata tra le più attive nel contribuire a costruire a livello europeo la narrazione sulla necessità di un passaggio all’idrogeno dell’intera economia europea. Snam sta cercando di influenzare i diversi processi legislativi per fare in modo che un passo alla volta l’idrogeno prodotto da gas fossile (con o senza la fantomatica cattura della CO2) guadagni legittimità «in attesa» (o a discapito) dell’idrogeno verde, ovvero quello prodotto tramite elettrolisi attraverso energia prodotta da fonti rinnovabili. E così mentre sono sempre più numerose le voci a chiedere un cambio di modello, c’è il rischio che miliardi di euro messi a disposizione con il Recovery Plan vengano dirottati verso investimenti a favore del settore fossile.

TORNANDO ALL’ITALIA, le due regioni dove l’impresa sta attualmente investendo sono Puglia e Sardegna. In Puglia, il contestato Tap e l’interconnessione che collegherebbe il gasdotto alla rete nazionale sono oramai conclusi, mentre il gasdotto Matagiola-Massafra nasce già vecchio dal momento che dovrebbe essere concluso entro il 2026. Il Tap, di cui Snam è azionista di controllo, è finito sotto inchiesta per disastro ambientale e nel settembre 2020 è iniziato il processo contro la compagnia svizzera Tap-ag e 18 manager dell’impresa e delle sue contrattate.

LA METANIZZAZIONE DELLA SARDEGNA, anch’essa fuori tempo massimo rispetto agli obiettivi climatici, è stata bloccata dal ministero dello Sviluppo economico a seguito dell’analisi costi-benefici. Nonostante questa bocciatura, Snam e Sgi hanno rimodulato il progetto creando un sistema di mini-dorsali e una virtual pipeline che insieme ambiscono a garantire i rifornimenti di gas all’isola che fino a oggi non aveva avuto l’onore di una rete di gasdotti che ne consentissero la completa metanizzazione. Un vero e proprio paradosso, che si materializza quando è ormai conclamata la pericolosità e il peso del metano rispetto alla crisi climatica.

Ma c’è dell’altro. In ben due studi recenti dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (Ieefa), il calcolo delle emissioni di Snam risulterebbe sottostimato in quanto non sarebbero state incluse nel calcolo le Scope 3, ovvero le emissioni indirette riferibili all’intera catena del valore, che nel caso di Snam comprendono per esempio quelle derivate dall’utilizzo finale del gas che la società trasporta. Secondo Ieefa, fra il 2017 e il 2019 le emissioni derivate dall’utilizzo finale del gas trasportato da Snam, che l’azienda non include nel suo computo delle emissioni, ammonterebbero a 70 volte quelle ufficialmente dichiarate dall’azienda.

NE ESCE UN’IMMAGINE DELL’AZIENDA meno sostenibile di come viene dipinta, che va oltre il green e il blue delle sue campagne di comunicazione, ponendo al centro un interrogativo su tutti: è davvero Snam a segnare la strada della transizione? O ne è forse uno dei principali ostacoli?

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