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Il folk a origine controllata

Il folk a origine controllataDiego Carpitella, foto di Alan Lomax, 1954

Etnomusicologia Diego Carpitella, maestro e esploratore della musica tradizionale

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 8 agosto 2020

l contributo e l’abnegazione politico-intellettuale di Diego Carpitella (Reggio Calabria 12 giugno 1924 – Roma 7 agosto 1990), etnomusicologo ed etnologo, iniziano nel 1952 in Lucania con Ernesto de Martino (1908/1965). Collabora, infatti, a una ricerca imperniata sullo studio del lamento funebre, attraverso cui raccoglie sul campo una notevole documentazione sonora di canti legati al ciclo della vita, in una visione antropologica musicale ante litteram che mette in relazione le musiche con il contesto storico e sociale.

Folk Revival
Basilare nel 1959-60 è la ricerca sul tarantismo salentino, condotta sempre in seno a una équipe coordinata da Ernesto de Martino: Carpitella analizza il ruolo della danza e della musica in forma di meloterapia tradizionale e inizia ad adoperare la cinepresa per fini documentativi. Negli anni Cinquanta approfondisce il percorso di ricerca etnomusicologica intrapresa dal compositore, pianista ed etnomusicologo ungherese Béla Bartók (1881/1945), una delle figure più interessanti della musica moderna.

Cura l’edizione italiana degli Scritti sulla musica popolare (1955), in cui evidenzia come, in circa venti anni, il contesto della musica popolare italiana sia mutato a causa di quell’ampio fenomeno di rivisitazione dei repertori, meglio conosciuto come folk revival, e in merito al quale asserisce: «Insorge comunque, è inevitabile, un quesito: se cioè questo campo di indagine storica ed etnografica musicale sia stato, sempre in questo scorcio di tempo, favorito o meno dal boom del folk-music revival, approdato anche in Italia agli inizi degli anni Sessanta. Ma il folk-music revival ubbidiente alla logica del profitto e al consumo acritico, per molti versi ha creato non poche difficoltà, favorendo una situazione in cui la manipolazione arbitraria e grossolana rischia di sopraffare la ricerca ideologicamente pulita e metodologicamente pertinente, cioè scientifica.

Oggi, infatti, il compito di una disciplina etnomusicologica è quella di distinguere, tra l’altro, gli originali dai rifacimenti, cioè quelli veri da quelli artificiali, quest’ultimi sostenuti anche dal consumo e dal giullarismo dei mass-media». Il suo fine è comprovare, pur in contesti mutati, l’attualità degli scritti di Béla Bartók, che egli ritiene «ancora validi dal punto di vista teorico e metodologico». A trent’anni dalla morte, la figura di Diego Carpitella si colloca in una fase, quella degli anni Settanta, impegnata a elaborare l’eredità di Ernesto de Martino, che confluisce in un nuovo studio della cultura popolare, dove il folklore si caratterizza per il proprio metodo gramsciano.

Insegnante
Dal 1953 al 1973 è titolare dell’insegnamento di Storia della danza all’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Dal 1972 al 1976 insegna Storia della Musica presso il Conservatorio ‘Santa Cecilia’ di Roma. Dal 1970 al 1976 è professore di Storia delle tradizioni popolari all’Università di Roma ‘La Sapienza’ e dal 1976 titolare della prima cattedra di Etnomusicologia presso la medesima Università. È, inoltre, tra i fondatori della ‘Società Italiana di Etnomusicologia’ (SIE, con presidenza dal 1973 al 1986) e responsabile del semestrale ‘Culture musicali – Quaderni di Etnomusicologia’. Nel 1989 viene nominato Conservatore degli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Nel 1973 organizza il Primo Convegno sugli studi etnomusicologici in Italia i cui atti, da lui curati, confluiscono nel volume L’etnomusicologia in Italia (1975). Tra le innumerevoli opere si menzionano: Materiali per lo studio delle tradizioni popolari (1972), Musica e tradizione orale (1973), Folklore e analisi differenziale di cultura (1976).

Carpitella pone particolare rilievo al confronto tra i differenti modelli di cultura, riferiti a una cultura osservante (di chi studia gli eventi) e a una osservata (come i contadini della koinè mediterranea): «Il confronto critico tra un insieme di culture – sostiene – non può che operarsi attraverso un’analisi differenziale, che consiste nella individuazione e nell’accertamento di dati che distinguono i due elementi dell’insieme a confronto». Quale presidente dell’Associazione Italiana di Cinematografia Visiva, dà impulso all’antropologia visuale proponendo un contributo dedicato alla cinesica, con ricerche svolte a Napoli e in Sardegna. Il suo intento è una «lettura cinesico-culturale del tessuto sociale italiano con particolare riferimento alla cosiddetta fascia folclorica». La preferenza dei luoghi non è casuale, bensì giustificata da un dissimile utilizzo della cinesica comunicativa e della cinesica informativa, con l’utilizzo di programmate norme relative ai due differenti contesti socio-culturali ed etno-linguistici.

Repertori
Altra esperienza sostanziale per Diego Carpitella è l’incontro con l’etnomusicologo statunitense Alan Lomax (1915/2002), col quale attua dal 1954 al 1955 un’imponente campagna di indagine sul campo, producendo oltre mille registrazioni e rivelando per la prima volta agli ambienti intellettuali italiani l’enorme quantità di stili, pratiche e repertori musicali dell’Italia contadina. A bordo di un pulmino, Lomax e Carpitella attraversano tutta la penisola. Dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, per poi ridiscendere fino in Campania: è la prima ricerca sul campo essenziale per il futuro studio della musica tradizionale italiana. Prima fondamentale conseguenza di questa ricerca sul campo sono i dischi pubblicati dalla Columbia: Northern and Central Italy and the Albanians of Calabria (1957), Southern Italy and the Islands (1957), Italian folk music I e V (1972). Attraverso siffatte ricerche, Carpitella può identificare e delineare metodi esecutivi, timbri vocali e strumentali propri della musica italiana di tradizione orale che, fino ad allora ignoti, svelano una robusta e inimmaginabile emancipazione culturale rispetto alla tradizione colta. In un anno registra con Lomax più di tremila documenti. La raccolta dei documenti registrati confluisce nell’Archivio sonoro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, committente unitamente alla Rai della campagna di indagine.

Sicuramente l’esperienza con Lomax gli consente di focalizzare le peculiarità e le ricchezze del patrimonio etnomusicale italiano, che nel giro di alcuni anni sarebbe stato destinato a impoverirsi e a scomparire a causa della «mutazione antropologica» che avrebbe modificato la società e le comunità.
Diego Carpitella è una personalità cardine per comprendere lo studio e lo sviluppo dell’etnomusicologia in Italia, in un periodo in cui si consuma in modo irreversibile quel processo di urbanizzazione e «falso progresso» che Pier Paolo Pasolini racchiude nell’immagine poetica della «scomparsa delle lucciole».
Tuttavia, indirizza la sua opera prevalentemente alla tutela, alla catalogazione, alla promozione e diffusione del patrimonio folklorico musicale orale. In tal modo contribuisce attivamente all’incremento dell’etnomusicologia in Italia, prima dell’avvento della ‘spettacolarizzazione’ degli eventi folklorici, della globalizzazione e degli smisurati stereotipi dell’industria culturale della nostra abbrutita società neocapitalista.

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