Il Fiore Sardo, formaggio antico sotto attacco
Slow Food Ogni pastore che fa Fiore Sardo riconosce il suo formaggio tra mille altre forme dello stesso tipo. Questo perché pascoli, greggi, la cura di ogni ovile, di ogni azienda e […]
Slow Food Ogni pastore che fa Fiore Sardo riconosce il suo formaggio tra mille altre forme dello stesso tipo. Questo perché pascoli, greggi, la cura di ogni ovile, di ogni azienda e […]
Ogni pastore che fa Fiore Sardo riconosce il suo formaggio tra mille altre forme dello stesso tipo. Questo perché pascoli, greggi, la cura di ogni ovile, di ogni azienda e l’esperienza del pastore rendono il suo formaggio unico. Il Fiore Sardo è un formaggio antimoderno, per alcuni spigoloso, che con tenacia deve superare lo scetticismo di consumatori assuefatti da sapori tenui e consistenze morbide o cremose. Il Fiore ha un sapore antico, millenario, che conserva tutta la fierezza dei pastori sardi di montagna e che Slow Food tutela con un Presidio (Fiore Sardo dei pastori).
Ora, un amico pastore mi racconta che, oltre dover sopravvivere nella giungla del mercato globale, è posto davanti all’ennesima difficoltà: un ostacolo posto proprio da quel Consorzio che dovrebbe tutelare i pochi pastori sopravvissuti. Prima di proseguire, tenete a mente un passaggio: il processo di caseificazione di questo formaggio barbaricino è molto semplice, quasi primordiale (se siete curiosi trovate più dettagli su fondazioneslowfood.com). Il risultato finale dipende molto dalla maestria del pastore e dalla valorizzazione di latte e pascoli. E dal fatto che il latte non venga pastorizzato.
Ora, sta succedendo qualcosa di poco chiaro in Sardegna. Fiutato l’affare (e soprattutto quella nicchia di mercato fatta di consumatori attenti) l’industria casearia si è buttata sul Fiore arrivando a detenere il 75% per cento della produzione. Il che si traduce nella maggioranza delle quote del Consorzio di Tutela del Fiore Sardo Dop che appunto dovrebbe sostenere i pastori, tutti. E invece. Tra le ultime novità c’è la richiesta di 3000 euro l’anno più Iva a chi non è socio del Consorzio, ma aderisce alla Dop e utilizza quindi il marchio. Una tassa che si aggiunge ai bollini già presenti e che non fa differenze tra volumi di produzione: il piccolo paga quanto il grande.
I trenta pastori che producono Fiore Sardo Dop fuori dal Consorzio (tra cui quelli che fanno parte del Presidio Slow Food) e che si ritrovano vessati da questo nuovo tributo si sono uniti in un comitato per interrogare il Ministero circa la legalità di questa iniziativa. Non solo, al Ministero si chiede anche di certificare uno strumento di verifica che permetta di accertare che la forma commercializzata come Fiore Sardo sia davvero prodotta a latte crudo. Al momento il Piano di Controllo della Dop non prevede alcuna verifica chimico-analitico che possa determinare eventuali trattamenti termici sul latte. Lo strumento esiste, basta certificarlo. Per garantire ai pastori maggiore tutela e a noi tutti di essere certi di quel che acquistiamo.
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