Cultura

Il femminismo a misura d’arte

Il femminismo a misura d’arteMirella Bentivoglio, «AM (ti amo)», 1970

Mostre Presso FM Centro per l’Arte Contemporanea la rassegna dedicata al «Soggetto Imprevisto», a cura di Raffaella Perna e Marco Scotini

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 20 aprile 2019

L’esplorazione del linguaggio verbale e del corpo femminile, inteso come processo di decostruzione degli stereotipi di genere: è questo il fil rouge che lega le opere raccolte ne Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e Femminismo in Italia, l’esposizione milanese presso FM Centro per l’Arte Contemporanea che presenta per la prima volta insieme oltre cento artiste italiane e internazionali attive negli anni Settanta, difficilmente citate nelle narrazioni storico/artistiche ufficiali.
Una scena eterogenea come documentano le opere raccolte, in cui i legami tra arte e femminismo creano un discusso e contrastato progetto comune che orienta un nuovo percorso linguistico e iconografico. Molteplici sono i segni e i codici espressivi enunciati dalle artiste che – ognuna in modo diverso – affronta il rapporto con la militanza e l’attivismo politico, per determinare un nuovo Soggetto imprevisto, come scrisse Carla Lonzi nel libro Sputiamo su Hegel, un soggetto indomito che rifiuta il linguaggio e le prescrizioni del dicibile imposti dalla cultura e dall’iconografia maschile.

Curata da Raffaella Perna e Marco Scotini, la mostra indaga l’eterogeneità dei discorsi che hanno spinto molte artiste e collettivi femministi a ripensare il ruolo della donna nella società, come testimonia l’ampia selezione di materiali provenienti dagli archivi della Cooperativa di via Beato Angelico, primo spazio artistico interamente gestito da donne, fondato a Roma nel 1976, di Rivolta femminile, uno dei gruppi più radicali, in cui militavano Carla Lonzi e Carla Accardi, del Gruppo Femminista Immagine di Varese, e del Gruppo XX di Napoli, per ricordarne solo alcuni.

Lisetta Carmi, dalla serie Il parto

«NON E’ TEMPO PER LE DONNE, di dichiarazioni: hanno troppo da fare e poi dovrebbero usare un linguaggio che non è il loro, dentro un linguaggio che è a loro estraneo quanto ostile», scriveva Ketty La Rocca nel 1974, che pur non militando in modo attivo nel femminismo ne condivideva le istanze e le riflessioni, confrontandosi con curatrici e critiche come Lucy Lippard e Anne Marie Sauzeau.
L’affermazione di La Rocca indicava la volontà di rifondare il linguaggio su basi nuove per demistificare le riflessioni stereotipate del femminile e uscire dal monologo del linguaggio patriarcale, come asseriva Carla Lonzi nel Manifesto di Rivolta Femminile, di cui sono esposti in mostra testi e documenti d’archivio.
Come suggerisce il titolo della rassegna (visitabile fino al 26 maggio), il 1978 è un anno significativo per le rivendicazioni sociali – viene approvata la legge 194 che permette l’interruzione volontaria della gravidanza, una vittoria epocale per il movimento femminista, dopo quelle ottenute con il referendum per il divorzio e la riforma del diritto di famiglia – e per la scena artistica italiana che registra e risponde ai cambiamenti in atto.
Materializzazione del linguaggio è la collettiva curata da Mirella Bentivoglio, nell’ambito della Biennale di Venezia, che raccoglie le opere di ottanta autrici che operavano con la poesia verbo-visiva. Dai libri cuciti di Maria Lai alle scritture pentagrammatiche di Betty Danon, ai Dattilocodici di Tomaso Binga (pseudonimo scelto da Biana Pucciarelli per sottolineare la carenza di visibilità e le difficoltà per le artiste di poter essere parte del mondo culturale), ai linguaggi astratti di Mira Schendel e Irma Blank, l’intera mostra è stata ricreata a FM Centro per l’Arte Contemporanea per far riemergere la vitalità della scena italiana che dialogava apertamente con quella internazionale. A Belgrado fu invece organizzato il seminario femminista Comrade Woman: Women’s Question – A New Approach?, e in Polonia l’artista Natalia LL curava la prima esposizione femminista intitolata Wroclaw First International Women’s Art Exhibition.

SEMPRE NEL 1978 la Biennale di Venezia dedicava una antologica a Ketty La Rocca, a pochi anni dalla sua prematura scomparsa, mentre ai Magazzini del Sale erano presentati manifesti, riviste e libri fotografici del gruppo femminista «Immagine» di Varese e del gruppo «Donne/Immagine/Creatività» di Napoli. Romana Loda curava per la sua galleria di Brescia, l’ultimacollettiva di sole artiste, che chiuse un percorso di ricerca in cui le autrici italiane venivano proposte insieme alle più significative interpreti del panorama europeo, quali Marina Abramovic, Hanne Darboven, Gina Pane, Valie Export, Rebecca Horn, Natalia LL e molte altre.
Come afferma Scotini, la rassegna altro non è che «un’indagine archeologica del più ampio dibattito contemporaneo sul concetto di genere, che cerca di recuperare una genealogia fondamentale nell’ordine dei sistemi sociali, che vedono ora una pluralità costitutiva di identità sessuali».

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