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Il fascino discreto della Croisette

Il fascino discreto della CroisetteUna scena da «Il racconto del racconto» di Matteo Garrone, «Irrational man» di Woody Allen e sotto Cate Blanchett in «Carol» di Todd Haynes

Cannes 68 In gara Moretti, Garrone, Sorrentino, l’edizione 2015 del festival (13-24 maggio) presentata ieri, ritrova nella selezione ufficiale molti dei suoi registi del cuore

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 17 aprile 2015

La conferenza che annuncia il (90% del) programma di Cannes somiglia per molti aspetti ad una messa. Evento ciclico, rimescola ogni volta gli stessi ingredienti: del pane (i film), del vino (il mondo luccicante che li accompagna), un «predicatore» ed un «giuda». Nel ruolo del «predicatore» e del «giuda» si sono alternati per anni Thierry Frémaux (direttore artistico) e Gilles Jacob (presidente). Il primo apostolo dell’altro, entrambi hanno tradito volentieri il proprio ruolo per sconfinare in quello dell’altro, non senza frizioni. Quest’anno Jacob, mecenate raffinato, cede il posto a Pierre Lescure che è stato giornalista, produttore televisivo, direttore del gruppo Canal +. Uomo della televisione dunque. Ma di quella più innovativa e legata alla produzione del cinema nazionale. Con lui, la messa cambia, i ruoli si semplificano. Via i riferimenti ai poeti e alle belle arti, il presidente si limita a parlare di partners commerciali. Per dirlo nel suo linguaggio, quello pratico di un produttore moderno, Lescure non mescola il «commerciale» con «l’artistico». Per la prima volta, Frémaux gode interamente del proprio ruolo di programmatore. Ma il potere assoluto sembra averne adombrato la verve. Frémaux ha giocato in difesa, come parando i colpi di un avversario invisibile.

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Veniamo al pane, ai films. Frémaux ha esordito dicendo: «è un anno bello per la Francia». Di fatto, è il paese più rappresentato: un film fuori concorso (Amnesia di Barbet Schroeder), quattro in concorso, e il film d’apertura (La Tête haute di Emmanuelle Bercot). Strappo alla tradizione per questa casella che prevede un film dal cast e dalla lingua internazionali. Bercot è sia regista (è tra gli autori di Les Infidèles) sia attrice, i i festivalieri la ritroveranno in concorso, in Mon Roi di Maïwenn (a sua volta attrice e regista).
Gli altri tre francesi sono Jacques Audiard, Valérie Donzelli Stéphane Brizé. I primi due sono noti. Figlio di uno dei più popolari sceneggiatori francesi, appassionato di motociclette, Audiard è un esempio interessante di cinema di qualità (con i pregi e i difetti del genere). Donzelli (attrice e cineasta anche lei!) era nota per le sue commedie sofisticate fino a che non ha sbancato il botteghino con il drammatico La Guerre est déclarée (bel colpo della Semaine de la critique nel 2011). Nessuno si aspettava il nome di Brizé. Classe ’66, ha girato sei corti, uno dei quali selezionato al festival di Cognac. Il suo primo lungometraggio, La loi du marché, competerà per la Palma d’oro e la curiosità è alle stelle per questo film che, di certo, non è stato selezionato per il curriculum del suo autore.

Tra le poche certezze prima della conferenza c’era la presenza in gara di Arnauld Desplechin, con Mathieu Amalric. Ma per conoscere i segreti dell’infanzia di Paul Dédalus, bisognerà aspettare un altro festival, perché Trois souvenirs de ma jeunesse non fa parte degli eletti. Ma come? «C’est comme ça». E visto che siamo in argomento, ecco la lista dei «cannables» esclusi: il portoghese Miguel Gomes (autore dello splendido Tabu, grande successo in Francia) atteso con Arabian Nights (film dalla durata annunciata di sei ore, e forse per questo non cannabile); Apitchapong Weerasethakul (Palma d’oro nel 2010 con Uncle Boonmee e per questo cannabile ex lege); infine Jeff Nichols. Quest’ultimo aveva un titolo molto cannabile, Midnight Special, e un cast cannabilissimo: Adam Driver e Kirsten Dunst. eppure… Qualche programmatore a Toronto o a Venezia si starà sfregando le mani.

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Nessuna sorpresa dall’Italia, secondo paese rappresentato. Come da programma: Moretti, Garrone, Sorrentino. Eccezion fatta per Mia Madre, il drappello (a cui va aggiunto The Other Side di Roberto Minervini, accolto nel Certain Regard) ha la particolarità di parlare inglese. Trent’anni fa De Laurentis sostenne che il cinema italiano, per salvarsi, avrebbe dovuto imparare a parlare inglese. In reazione a questo invito, proprio Moretti fondò (con Barbagallo) la Sacher film, con l’intenzione di produrre opere prime legate all’Italia comunale e provinciale (le prime furono Domani accadrà e Notte italiana). I registi che l’Italia porta a Cannes sembrano la sintesi di queste due politiche opposte, cosmopolitismo della lingua e territorializzazione della storia.

Gli americani sono presenti in competizione con due nomi che suscitano sempre grandi attese: Todd Haynes con Carol, Gus Van Sant con The Sea of Trees. Del primo, Fremaux a detto che si tratta di un film molto contemporaneo. Per spiegare il concetto ha aggiunto un paradosso che solo la visione del film scioglierà : «Una storia d’amore ambientata a New York negli anni 1950».

Anche sulla sponda opposta, dall’estremo oriente, la competizione promette poche novità, ma tre grandi ritorni che entusiasmeranno la Croisette: Kore-Eda, Jia Zhang-ke e Hou Hsiao Hsien. Era dal 2008 e da Le Ballon rouge che HHH mancava dagli schermi. Qualcuno disse allora che il suo cinema volava più alto quando rimaneva attaccato alla sua terra. In questo senso, Assassin, film di arti marziali, fa ben sperare. Sarà, ha detto Fremaux, più di un film di genere: «un film sul genere».
Qualche aggiustamento seguirà nelle prossime settimane ma l’essenziale è dato. Ora gli occhi si rivolgono alla Quinzaine des réalisateurs, il controfestival nel festival di cui, per il momento, si sa solo che verra innaugurato dal nuovo film di Philippe Garrel, L’ombre des femmes.

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