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Il faro Aprà per I mille occhi

Il faro Aprà per I mille occhi

Festival Torna la kermesse di cinema: omaggio a Aprà con inediti, premio a Yervant Giainikian e Angela Ricci Lucchi

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 14 settembre 2024

«Adriano agli amici» era il titolo del recente speciale Alias per ricordare Adriano Aprà, ed è anche il filo conduttore marcante (e purtroppo anche mancante data l’impossibile, con lui progettata, presenza per un dialogo con Louis Skorecki) dell’imminente XXIII edizione del festival I mille occhi, a Trieste al Teatro Miela dal 18 al 22 settembre (direzione artistica Olaf Möller e Giulio Sangiorgio con contributi di Mila Lazic e Dario Stefanoni, organizzazione Simone Starace con Cristina Vendramin).

Nell’omaggio del festival (un «Per Adriano Aprà» che ci piace rovesciare copernicanamente in «Adriano Aprà per I mille occhi»), oltre alla proiezione di Rosso cenere da lui realizzato con Augusto Contento, viene presentato un montaggio inedito di Videointerventi di Adriano Aprà realizzato dalla sua Associazione Fuorinorma a cura di Cristina Torelli e Marco Polimeni. Esso riunisce soprattutto le tracce esistenti dei rapporti di Adriano coi sei amici «morti troppo presto»: Gianni Amico, Enzo Ungari, Gianni Menon, Marco Melani, Piero Bargellini, Michele Avantario. E con accenni al Filmstudio, con Annabella Miscuglio e Rony Daopoulo.

Beninteso nulla di funebre in tutto questo ma anzi, nella comune fede dreyeriana, una lotta della vita contro la morte. E naturalmente nulla di «dovuto» e cerimonioso: con Adriano non c’è mai stata piaggeria, chi scrive non rinunciava a dirgli che dopo esser stato il primo a scrivere in Italia testi essenziali su Cottafavi (i cui film perduti per l’incultura archivistica della Rai, come Le notti bianche con Monica Vitti, sopravvivono solo nelle sue recensioni d’epoca) ha mantenuto verso la grandezza del regista un incomprensibile scetticismo; e lui quando vide il mio critofilm La regola del gioco disse, come anche Alberto Farassino, che più che di generi cinematografici vi si occupava di corpi femminili, e non mi dispiacque. Tanto per citare due esempi, in un costante rapporto fatto anche di atti mancati. Di cose lasciate fuoricampo, territorio di cui è il cinema a esserci primo e grande maestro.

Questo omaggio arriva (scusandomi se ne dimentico altri) dopo il ricordo alla Casa del Cinema di Roma in occasione del funerale, lo speciale di Alias con il commovente testo di Stefania Parigi, e il ricordo alla sua Mostra di Pesaro. Non sono troppi ma troppo pochi perché le altre due istituzioni che egli marcò latitano, e Biennale e CSC non si sono nemmeno presentate al ricordo romano, non vi sono stati omaggi alla Mostra di Venezia né sono previsti a cura della Cineteca Nazionale alla Festa del Cinema. Eppure oggi è evidente che, se Lino Miccichè (con cui non sono mancati contrasti né ci ha beneficati il suo sistema di potere) è stato il miglior operatore culturale del dopoguerra con la creazione della Mostra di Pesaro e la presidenza della rinominata Scuola Nazionale di Cinema, Adriano è stato il miglior curatore di retrospettive a Venezia (ho qualche autorità per dirlo) e il miglior conservatore della Cineteca Nazionale. Tuttora il suo database sulla conservcazione di tutti i film italiani in Italia e nel mondo è insuperato, e anche quando l’on. Grimaldi ha avuto il merito di rendere pubblico l’elenco delle pellicole bruciate nel recente incendio tutti gli archivi l’hanno confrontato col database di Aprà. Per scoprire ad esempio, fatta salva la possibilità che siano state fatte copie di preservazione, che ne è stata fortemente lesa la conoscenza dell’opera di Mario Almirante (papà di Giorgio e nondimeno fondamentale cineasta).

L’omaggio ai Mille occhi compirà anche una, certo marginale e carsica ma a chi scrive molto cara, frequentazione della città di Trieste da parte di Adriano. Lo conobbi infatti a fine anni ’60 quando venne a presentare il ricostruito Bezin lug di Ejzenstejn, su suggerimento del presidente UCCA Gianni Menon al programmatore del Circolo popolare del cinema Umberto Barbaro, il duttile funzionario PCI Tullio Morgutti. E come vorrei che fosse stata registrata quella memorabile lezione di antistalinismo estetico, che demoliva la frottola secondo cui Cinema & film sarebbe stata meno politicamente consapevole di Cinema nuovo e Ombre rosse.

Adriano analizzò come nessuno le imposte e mascherate autocritiche politiche del cineasta. E non dimentichiamo che egli racconta (nel bel Adriano Aprà Autoritratto di Pasquale Misuraca) che scoprì il cinema attraverso la «maledetta» Corazzata Potemkin, film di cui si è inutilmente demolito lo statuto di classico e che oggi ci si rivela il primo urlo munchiano antitotalitario, nella prima morte della comunista italiana Beatrice Vitoldi (sull’oggi contesa scalinata di Odessa, e lo sparo dell’esercito zarista lo compirà Stalin uccidendola nelle purghe del 1939). Così come il finale capolavoro assoluto Congiura dei Boiardi sarà il testamento delle morti di Ejzenstejn, Prokofev e di quella stessa di Stalin, che certo detestò il film perché ne vanificava la gloria, simulata nel Nevskij e nel primo Ivan.

Adriano mi raccontò in seguito che in quel primo viaggio triestino fece, in attesa di arrivare alla serata, il gesto rosselliniano di visitare l’allora celebre Acquario triestino, oggi a nessuno indispensabile. Tornò poi a Trieste con Patrizia Pistagnesi negli anni ’70 per una delle rare proiezioni su schermo di Olimpia agli amici. E poi per parlare ai Mille occhi della prima versione perduta di Vanina Vanini. In questa cronologia per me densa di «puncta» dei rapporti tra Adriano e Trieste, il ritorno di quest’anno (dopo un recente passaggio al Trieste Film Festival) avviene purtroppo fuoricampo.

Il programma del festival non appare indegno di questo faro. Si apre e si chiude con due grandi film che fanno rivivere archivi, Henry Fonda for President del cinetecario austriaco Alexander Horwath (e infatti la sera prima il film è in preanteprima a Gemona, per la rassegna «Allo specchio dell’era Kennedy» della Cineteca del Friuli), e l’ultimo film di Yervant Gianikian, cui insieme a Angela Ricci Lucchi viene assegnato il Premio Anno uno. Il film di Horwath fa parte di un concorso di «film sul cinema», che mi sembra un bel richiamo alla passione per i critofilm di Adriano: e vi si incontreranno figure come la grande Dorothy Arzner, R.G. Springsteen e tante altre. Si conosceranno cineasti limitrofi come lo sloveno Damjan Kozole e (in una proiezione speciale) il dalmata Ivan Ramljak, col suo desertico El Shatt – A Blueprint for Utopia. Una rassegna, stimolata dall’anniversario kafkiano, seguirà le tracce meno note dello scrittore in film italiani anni ’70, da Marco Ferreri a Sergio Martino, con un parallelo omaggio al triestino Lelio Luttazzi e alle tracce nel cinema della sua «kafkiana» vicenda giudiziaria. Di Louis Skorecki si vedrà il film sadiano Eugénie de Franval, dal testo del marchese che Georges Bataille pose tra le creazioni letterarie indispensabili: perché è tale al loro autore, e pertanto ai suoi lettori, e anche a chi vi legge cinema come Skorecki.

Verrà scoperta, nella vicenda densa di figure ai margini della storia dell’animazione italiana, quella dello scultore bellunese Toni Fabris, inserendo i suoi due corti superstiti in un doppio programma fatto tutto di fughe tangenziali, con corti tra gli altri di Gian Vittorio Baldi, Luciano Emmer e due di Romano Scavolini. E dato che, come sappiamo, «da cosa nasce cosa» (se fossi ancora giovane m’inventerei un festival con questo nome) questo programma sfocia negli incontri con due essenziali figure triestine, Franco Basaglia (la cui opera nessuna definizione antipsichiatrica può sintetizzare) e Diego de Henriquez, creatore di un Museo di guerra contro la guerra che è oggi tutto da rilanciare ma è una delle cose più uniche che esistano a Trieste, degne di un altro non-luogo come il Monte Verità di Ascona. Questo e altro ai Mille occhi, finché ci saranno.

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