Il farmaco della speranza non è tanto miracoloso
Codice rosso The Lancet: il Remdesivir in uno primo studio condotto in Cina non è risultato efficace
Codice rosso The Lancet: il Remdesivir in uno primo studio condotto in Cina non è risultato efficace
Sono stati pubblicati i risultati della prima sperimentazione controllata dell’antivirale remdesivir, il farmaco ritenuto finora più promettente tra le terapie anti-Covid-19. Lo studio proviene dai medici cinesi che hanno testato il farmaco in una decina di ospedali di Wuhan. I risultati non sono positivi: «non risultano benefici statisticamente significativi associati al remdesivir» scrivono i ricercatori. Il resoconto della sperimentazione è stato pubblicato dalla rivista The Lancet, una delle più autorevoli in campo medico.
LA NOTIZIA ERA GIÀ STATA anticipata in un articolo online ma rimane una doccia fredda per pazienti e ricercatori. Il remdesivir è un farmaco antivirale a largo spettro pensato come terapia anti-Ebola. Gli studi «in vitro» (cioè su cellule studiate in laboratorio fuori dall’organismo) e poi la sperimentazione sugli animali avevano mostrato una buona efficacia anche contro il virus Sars-Cov-2. Invece, nei pazienti di Wuhan il farmaco non ha portato benefici: il tempo necessario per vedere migliorare le condizioni dei pazienti è stato sostanzialmente lo stesso nei pazienti curati con il remdesivir e nel gruppo di controllo che non lo ha ricevuto.
LA SPERIMENTAZIONE È STATA condotta secondo gli standard ritenuti più affidabili da parte della comunità scientifica: i pazienti sono stati divisi in due gruppi in modo casuale e all’insaputa sia dei pazienti che dei loro medici curanti per non influenzarne le valutazioni. Studi organizzati in questo modo si chiamano «trial randomizzati e controllati». Alla ricerca hanno partecipato però solo 237 pazienti, meno dei 325 inizialmente programmati, e questo ne diminuisce in parte il valore statistico. Ma sono stati gli stessi medici a interromperlo in anticipo quando a metà marzo a Wuhan era diventato troppo difficile trovare nuovi casi da arruolare perché l’ondata epidemica in Cina era in gran parte superata.
«La mortalità a 28 giorni è stata simile nei due gruppi», scrivono i ricercatori, riportando una mortalità del 14% nel gruppo della sperimentazione rispetto al 13% rilevato nel gruppo di controllo. L’unico vantaggio associato al remdesivir sembra essere un miglioramento leggermente più veloce: «tra i pazienti trattati entro i dieci giorni dai sintomi, il remdesivir si è associato a una riduzione di 5 giorni del tempo necessario per il miglioramento clinico», riporta l’articolo di Lancet.
I RICERCATORI SCRIVONO che non si tratta di una bocciatura definitiva del farmaco e che saranno necessari altri studi su gruppi più numerosi per valutare se il farmaco, somministrato più precocemente, fornisce davvero un beneficio. Due grandi sperimentazioni coordinate dall’Oms e dalla Francia “Discovery” stanno già mettendo alla prova il remdesivir (insieme a altri tre farmaci) in diversi paesi. Saranno probabilmente questi due studi a stabilire se il COVID-19 si può curare con un farmaco antivirale.
L’ATTESA SPASMODICA per una cura ha trasformato la ricerca farmaceutica in un campo di battaglia anche sul piano della comunicazione, come mostrano le sortite pubbliche di Trump sui disinfettanti da iniettarsi in vena. Pochi minuti dopo la pubblicazione dello studio cinese, alla Casa Bianca Trump e il suo consigliere Anthony Fauci hanno presentato insieme i risultati di un altro trial sullo stesso farmaco, coordinato dall’Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie infettive (Niaid) statunitense di cui Fauci è direttore.
“IL FARMACO È EFFICACE” ha detto entusiasticamente Fauci, fornendo però dati non troppo diversi da quelli cinesi: un periodo di guarigione più breve di 4 giorni e una mortalità leggermente inferiore (8% contro 11%, “ma è un dato da perfezionare”) rispetto al gruppo di controllo. L’annuncio anticipato di dati che devono essere ancora pubblicati è stato giustificato con ragioni etiche dovute all’emergenza sanitaria. Ma è difficile non leggere la mossa come una reazione alla cattiva pubblicità in arrivo dalla Cina, e un annuncio di una nuova guerra commerciale. Da un lato c’è la statunitense Gilead con i suoi brevetti; dall’altro la Cina che, con Canada e Germania, sembra orientata a non tenerne conto per produrre un farmaco generico a costi inferiori.
LA GILEAD È ANCHE UNO dei principali obiettivi dell’appello di Medici Senza Frontiere, dell’Istituto «Mario Negri» affinché un’eventuale cura contro il Covid-19 non venga limitata dai brevetti farmaceutici e sia disponibile a costi accessibili in tutto il mondo.
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