Il fallimento delle Usca, attive solo al 50%. Il caso del Lazio
Emergenza sanitaria L'assistenza domiciliare dei pazienti Covid è rimasta sulle spalle dei medici di base
Emergenza sanitaria L'assistenza domiciliare dei pazienti Covid è rimasta sulle spalle dei medici di base
Per mesi medici ed epidemiologi hanno spiegato che il Covid-19 si combatte sul territorio, e che le terapie intensive dovrebbero rappresentare l’estrema difesa. Asl e medici di base, cioè quel che resta della sanità territoriale, avrebbero dovuto svolgere un ruolo di primo piano. Impoverite da anni di tagli le prime, anziani e privi di infrastrutture adeguate per la gestione dei malati Covid i secondi, il governo in piena prima ondata aveva provato a rimediare mettendo in campo le Usca.
La sigla per “Unità Sanitarie di Continuità Assistenziale” e compare per la prima volta in un decreto governativo del 9 marzo, che prevede «una unità speciale ogni 50.000 abitanti per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero». Significa oltre mille Usca attive sul territorio nazionale.
Quel decreto però è rimasto abbondantemente disatteso dalle regioni incaricate di emanare le ordinanze attuative. Come recita un rapporto della Corte dei Conti presentato al Parlamento il 23 novembre, a fine ottobre «la media a livello nazionale era inferiore al 50 per cento». «L’attivazione delle Unità speciali di continuità assistenziale, che ben avrebbero potuto rappresentare uno strumento di assistenza sul territorio anche in grado di alleviare la pressione sugli ospedali, ha avuto un andamento inferiore alle attese e con forti differenze territoriali», si legge nel rapporto.
Anche le regioni che si sono attivate hanno spesso fatto pasticci. Nella Regione Lazio il Tar ha annullato l’ordinanza regionale che istituiva le Usca-r (la “r” finale, che sta per “regionale”, non è un errore). La regione governata da Nicola Zingaretti, infatti, ha interpretato in modo un po’ troppo liberamente il decreto nazionale. Alle Usca-r del Lazio non è stata affidata l’assistenza domiciliare dei pazienti Covid, una possibilità esplorata solo in via «eventuale».
Le Unità laziali hanno operato soprattutto in operazioni di screening di comunità presso residenze per anziani, scuole, ospedali, aeroporti. L’assistenza domiciliare dei pazienti Covid è rimasta in gran parte sulle spalle dei medici di base, che devono allo stesso tempo badare anche al resto della popolazione bisognosa di assistenza sanitaria.
A promuovere il ricorso al Tar sono stati lo Smi e lo Snami, due sindacati di medici, contro cui ha avuto parole durissime l’assessore alla sanità del Lazio Alessio D’Amato: «Nel Lazio vi sono oltre 60 mila persone in isolamento domiciliare ed è tecnicamente impossibile gestirle unicamente con le Usca-r. È innanzitutto compito della medicina territoriale farsi carico, con i dovuti mezzi di protezione e la dovuta formazione, di questi pazienti che molte volte non sono affetti unicamente da Covid, ma anche da altre patologie croniche».
La regione si è ora rivolta al Consiglio di Stato. Nessuno dica che i medici di base non vogliono occuparsi degli assistiti malati di Covid, giura la segretaria dello Smi Pina Onotri. «Come facciamo ad assistere a casa chi riteniamo sia un sospetto Covid senza esporci al contagio e poi trasmetterlo agli altri pazienti che vediamo negli studi, ai nostri colleghi di studio, ai nostri collaboratori?» chiede. La spalleggia Giuseppe di Donna, presidente dello Snami del Lazio: «Non abbiamo mai chiesto, come Snami, di non fare le visite domiciliari. I medici di medicina generale hanno seguito i propri pazienti in telesorveglianza e visitato a domicilio quelli non Covid, coprendo anche le disfunzioni dei Servizi di Igiene e Sanità Pubblica».
Mentre l’assessore D’Amato lamenta l’insufficienza delle Usca-r, ben 800 medici del Lazio si sono messi a disposizione della Regione per occuparsi dei pazienti Covid nelle Unità (l’elenco è ancora sul sito web regionale). Eppure, raccontano molti di loro, non sarebbero mai stati coinvolti nei turni.
Le critiche al modello Usca-r riguarda anche la sua gestione eccessivamente centralizata. La supervisione delle Usca-r tocca all’istituto Spallanzani, ma il coordinamento reale spetta a Pierluigi Bartoletti, vicesegretario del potente sindacato dei medici Fimmg. La Regione ha annunciato da tempo di voler attuare un modello più decentrato, con le istituzioni di Usca “di distretto” gestite dalle singole Asl, ma il nuovo sistema non è mai decollato.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento