Il dovere di combattere per Zeinab
Baghdad-Damasco Cresce il numero di sciiti iracheni che vanno in Siria per unirsi alle truppe di Bashar Assad e difendere i luoghi santi
Baghdad-Damasco Cresce il numero di sciiti iracheni che vanno in Siria per unirsi alle truppe di Bashar Assad e difendere i luoghi santi
Non si tratta più solo di Assad, in Siria. In realtà, per alcuni, non è mai stato lui il vero problema, ma piuttosto i “nemici”, quelli che appartengono all’altra corrente dell’Islam. “È mio legittimo dovere andare lì e lottare per difendere il santuario di Sayyida Zeinab. Dovremmo forse accettare di vedere Zeinab, la nipote del Profeta Mohammad, essere catturata di nuovo?”. A parlare alla Reuters è Ali, uno dei combattenti sciiti iracheni che, nella hall dell’aeroporto di Baghdad, aspetta di imbarcarsi per Damasco.
E improvvisamente sembra di non essere più nel 2013, ma piuttosto nel 680. Quando a Kerbala, in Iraq, l’ultimo figlio del califfo ‘Ali, Hussein, trovò la morte nella seconda guerra civile che la Umma – la comunità di fedeli musulmani – ricordi. E sua sorella Zeinab, la cui tomba è custodita in una moschea alle porte di Damasco, fu fatta prigioniera da quelli che oggi conosciamo con il nome di Sunniti.
La voce che gruppi di sciiti iracheni entrassero in Siria per combattere al fianco delle truppe del regime circolava già da almeno un anno. Ieri una conferma è giunta dal ministro degli esteri di Baghdad, il curdo Hoshyar Zebari, in un’intervista rilasciata al quotidiano pan arabo Al-Hayat. D’altronde gli sciiti che partono ormai rilasciano interviste a grandi media, fornendo nomi e numeri che superano di gran lunga le stime. Dichiarano che almeno 50 combattenti alla settimana si uniscono all’esercito di Assad nella guerra contro i ribelli sunniti. Partono tranquillamente dall’aeroporto di Baghdad o da quello di Najaf, una delle due città sante dello sciismo. Volano in piccoli gruppi da 10-15 miliziani, spesso sotto le sembianze di pellegrini diretti al santuario di Sayyida Zeinab. Nelle loro borse ci sono però uniformi, equipaggiamento militare e a volte anche armi. Spesso vengono scortati ai checkpoint dai loro comandanti che, grazie alle loro conoscenze e alla loro influenza tra le autorità irachene, li fanno passare con il loro equipaggiamento.
Molti dei giovani volontari vengono reclutati e addestrati dagli ex-miliziani dell’esercito del Mahdi, la rete di guerriglieri sciiti guidata da Moqtada al-Sadr in azione contro le truppe di occupazione americane tra il 2003 e il 2008. Abu Zeinab, un ex comandante sadrista, ha raccontato alla Reuters che i leader iracheni della nuova rete anti-sunnita si occupano, oltre che del reclutamento, anche dei biglietti aerei, delle spese e dei permessi dal governo siriano. Spesso, ha aggiunto, coordinano anche i vari gruppi di miliziani sciiti che, oltre agli ex sadristi, comprendono anche l’organizzazione Badr (o brigata Badr, fondata dal leader sciita al-Hakim negli anni ’80 per combattere Saddam Hussein), il gruppo Asa’ib Ahl al-Haq (o Lega dei Giusti, che nel 2007, all’apice della guerriglia, contava più di 3.000 miliziani) e le Kata’ib Hezbollah, uno dei gruppi dell’universo sciita iracheno attivi contro l’occupazione occidentale. Tutti finanziati e addestrati dall’Iran e fedeli alla guida suprema della Repubblica islamica, Ali Khamenei.
Con l’acuirsi degli scontri e, soprattutto, dopo la notizia dell’attacco da parte dei ribelli sunniti ad alcuni santuari sciiti della Siria – come quello di Hujr Ibn Uday, nella periferia di Damasco – il flusso di combattenti sciiti provenienti dal vicino Iraq è aumentato. Alcuni di loro si trovavano già in Siria, parte di quell’esercito del Mehdi schiacciato dalla Coalizione nel 2007. Lì, hanno formato la brigata Abu al-Fadhl al-Abbas in collaborazione con il governo siriano e con l’ufficio di Khamenei a Damasco per “difendere il santuario di Sayyida Zeinab”, spiega uno dei miliziani intervistati. In un primo momento, i volontari iracheni dovevano combattere agli ordini degli Shabbiha, i miliziani lealisti in maggioranza alawiti: erano queste le condizioni per entrare in Siria ed essere equipaggiati a combattere. Ma ora gli equilibri sono cambiati e sono sorte delle divergenze tra gli shabbiha e i gruppi iracheni: stando a quanto raccontano i miliziani iracheni, i lealisti siriani avrebbero tentato di approfittare finanziariamente del caos nel Paese e non avrebbero gradito la stretta disciplina militare imposta invece dai gruppi sciiti iracheni. Ora, dopo la battaglia di Sayyida Zeinab e i 5 morti tra lealisti e iracheni, sono tutti agli ordini degli Hezbollah libanesi.
Il governo iracheno – formato per la maggior parte da sciiti – nega qualsiasi coinvolgimento nel conflitto siriano. Le potenze occidentali hanno spesso accusato Baghdad di sostenere tacitamente il regime di Assad sia per aver aperto lo spazio aereo ai voli iraniani diretti in Siria che per aver permesso il flusso di uomini e armi verso Damasco. In realtà, come spiega un consigliere di Nouri al-Maliki alla Reuters sotto anonimato, l’Iraq che vacilla sui suoi fragilissimi equilibri confessionali sta cercando di tenere lontana una possibile ribellione della minoranza sunnita: “I politici sciiti – spiega – pensano che il modo migliore per tenere lontani gli estremisti sunniti dal nostro Paese sia tenerli occupati in Siria”. Perché una sollevazione dei sunniti iracheni risveglierebbe di nuovo la guerra civile del post-Saddam. Uno spettro che, visti gli attentati del mese di aprile in tutto l’Iraq – il mese più sanguinoso da almeno cinque anni, con 700 morti per la violenza politica – non è mai stato così vicino.
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