Il «dottor sottile» alla ricerca del nuovo costituzionalismo
Saggi «Le istituzioni della democrazia. Un viaggio lungo cinquant’anni » di Giuliano Amato per il Mulino
Saggi «Le istituzioni della democrazia. Un viaggio lungo cinquant’anni » di Giuliano Amato per il Mulino
La figura del politico come professione intellettuale, di cui Max Weber ha lasciato un’insuperata analisi, e quella del partito come intellettuale collettivo, teorizzata da Antonio Gramsci, non sembrano più appartenere alla politica contemporanea. Semplificando, conoscenze e saperi entrano nel gioco della politica non più per contribuire alla continua elaborazione di un disegno strategico di governo e trasformazione della società, ma come strumenti puramente tecnici, spesso utilizzati per dissimulare quei valori e interessi (relativi) che continuano ad essere il fondamento del potere. È questo uno degli aspetti fondamentali del deficit di funzionamento di cui soffre, ad esempio, l’Europa. Un nodo problematico che deve essere sciolto se l’Unione europea e l’Italia vogliono davvero uscire dalla fase di stagnazione in cui si trovano, ricomponendo un equilibrio tra un potere democratico (da rilanciare) e una classe dirigente in grado di interpretare ed esercitare, oltre il breve periodo e la miopia degli interessi corporativi, il suo ruolo.
Declinazioni riformiste
Al di là del giudizio che può essere dato sulla sua azione politica, è innegabile che la biografia e l’opera di Giuliano Amato stiano in gran parte dentro questo percorso problematico e, oggi, nella gamma di soluzioni che si cercano per uscirne: ne è una dimostrazione il fatto che sia il neoeletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sia alcuni dei più accreditati candidati alla carica di Capo dello Stato (tra i quali, appunto, lo stesso Amato) provenissero da professioni intellettuali (la Corte Costituzionale, l’Università, la magistratura o il giornalismo), e avessero mantenuto questa loro identità anche nel fare politica.
In questa chiave di lettura può dunque essere letto il libro di Giuliano Amato Le istituzioni della democrazia. Un viaggio lungo cinquant’anni (il Mulino, Euro 33,00) che raccoglie una serie di scritti pubblicati dal «dottor sottile» nella sua carriera, ed organizzati in quattro parti: storia costituzionale ed evoluzione della forma di governo, la democrazia e l’espansione della libertà, l’economia e l’interesse pubblico, la costruzione europea e le prospettive sovrannazionali, introdotte rispettivamente da Maurizio Fioravanti, Augusto Barbera, Giulio Napolitano e Sabino Cassese.
Il filo conduttore degli scritti è la costruzione teorica (incentrata su una concezione del diritto costituzionale aperto ai contributi delle scienze sociali e filosofiche) e la pratica politica del riformismo, in particolare attraverso la declinazione del socialismo liberale. La sfida è così la stessa che ha segnato la carriera intellettuale e politica del (citatissimo da Amato) Ralph Dahrendorf: «quadrare il cerchio» tra benessere economico, coesione sociale e libertà politica, partendo dal primato della persona e delle sue libertà in un mondo sempre più complesso e dinamico. Giuliano Amato coglie in varie parti del libro il limite di una concezione e di una pratica della libertà che, nel mondo del capitalismo finanziario e della mercificazione globali, tende sempre più ad essere la condizione di un individuo che si pensa sciolto da ogni legame sociale e dovere, per risolversi tutto in un uso narcisistico ed utilitarista di questa stessa libertà. La pratica della libertà responsabile e della costruzione di un tessuto di diritti e soprattutto di doveri che devono avere sempre più una dimensione anche transnazionale (non essendo possibile, per Amato, costruire un potere democratico sull’idea della Repubblica cosmopolita di kantiana memoria), vengono dunque indicati come i principali vettori di uscita da questo pervertimento delle libertà: in questo sta il senso dell’accostamento dell’idea liberale a quella socialista. Allo stesso tempo, questo percorso neo-istituzionalista che rimette al centro il ruolo del diritto costituzionale e il suo rapporto con quella crescente complessità sociale che invoca dal basso nuovi diritti e doveri (anche per i soggetti economici) in nome della dignità umana (si pensi ai movimenti della Rivoluzione araba o anche alla stessa Syriza), diviene il punto di appoggio per cercare di ricostruire una nuova integrazione sociale.
La cornice sovranazionale
Ubi societas ibi Ius dicevano i giuristi romani: al di là di osservazioni pure intelligenti come quelle di Carbonnier sulla non riducibilità del sociale al giuridico, è innegabile che si sia aperto uno iato crescente tra persone e processi economici e politici. E che uno dei mezzi per ricostruire un tessuto sociale adeguato alla crescente diversità culturale, sociale e religiosa di cui siamo tutti portatori, sia un processo di costituzionalizzazione in grado di muoversi oltre i confini nazionali. Riconoscere il pluralismo sociale ed economico e reintegrarlo in modo razionale: questa sembra essere per Amato la sfida principale dei nostri tempi e il metodo da seguire per rompere anche quei corporativismi che bloccano l’Italia.
Ci sono però alcuni importanti problemi che si accompagnano a questa impostazione e che qui possiamo porre solo in forma aperta e coincisa: per Amato il pervertimento della libertà che ci troviamo di fronte è estraneo all’autentico spirito del liberalismo. Eppure da trent’anni a questa parte i principali leader politici e molti esponenti delle élites economiche non hanno mai cessato di proclamarsi liberali. Da dove originerebbe, dunque, al livello ideologico e di pratica politica la degenerazione delle libertà? Manca così un’analisi autocritica in Amato – che è ed è stato non solo intellettuale ma, come dicevamo all’inizio, anche leader politico pienamente inserito nell’establishment che ha contribuito a costruire l’attuale modello di sviluppo sociale e civile.
Una contraddizione rimossa
Certo come vicepresidente della Convenzione europea incaricata di redigere la nuova Costituzione europea (definitivamente abbandonata nel 2009 in seguito ai referendum in Francia e nei Paesi Bassi), Amato ha concretamente provato a mettere in pratica la sua visione di una rule of law transnazionale e ispirata ad un liberalismo socialmente «responsabile». Tuttavia, come ricorda in uno dei saggi raccolti nel volume, egli non solo ha partecipato a vari G8 ma difende pienamente la legittimità di questa istituzione anche al livello democratico. E certamente il G8 non si è mosso molto in direzione di un contenimento di quella libertà irresponsabile denunciata da Amato. Problematizzare questa contraddizione (e il rapporto tra intelletto e realtà è sempre contraddittorio, come ci ha mostrato il filosofo tedesco Theodor W. Adorno) può contribuire a comprendere, probabilmente e senza avere una soluzione definitiva in mente, che se nel Novecento la diade socialismo liberale poteva essere intesa nel senso che il secondo termine correggeva le storture autoritarie del primo, oggi potrebbe valere esattamente il contrario. Un percorso che ci sospinge così oltre quella «terza via» che si è mostrata, volente o nolente, esattamente organica alla globalizzazione irresponsabile con cui stiamo facendo i conti.
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