La riflessione economica circa l’uso delle risorse finanziarie europee legate Next Generation Eu solleva molte discussioni e non sempre pertinenti con l’oggetto. Si tratta di risorse straordinarie, sebbene limitate nel tempo e probabilmente anche insufficienti, ma concorrono comunque a delineare una occasione di crescita e sviluppo, a rimuovere i vincoli di struttura che il Paese ha maturato nel corso degli ultimi 30 anni. Se il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) ha un problema è proprio nell’impostazione e non nelle missioni che intercettano i settori emergenti di un potenziale nuovo paradigma tecno-economico. Probabilmente, la latente (in)soddisfazione nelle considerazioni sul Pnrr nazionale risiede nella difficoltà di rappresentare il come e il che cosa deve cambiare nel Paese.

Unitamente ai vincoli ricordati, dobbiamo anche considerare gli intervalli temporali dell’azione pubblica. Questa riflessione nasce da una sollecitazione di Caffè, convinto assertore della necessità dell’intervento pubblico nell’economia per rimediare ai vari “fallimenti del mercato”, al fine di metterci in guardia rispetto ai possibili fallimenti dello Stato nei suoi tentativi correttivi.

Dobbiamo considerare il ritardo che intercorre tra il momento in cui si percepisce l’esistenza di un problema e il momento in cui le misure predisposte, da una o più istituzioni pubbliche, sono in grado di produrre i risultati desiderati. Infatti, tali ritardi possono essere di tale lunghezza da produrre il disastroso risultato di arrivare in un momento sbagliato, al punto da rendere controproducenti le misure adottate. Per farsi una idea delle priorità europee è sempre opportuno indagare il bilancio pubblico europeo.

In qualche misura, l’allocazione delle risorse europee manifesta il quanto e il come la politica economica intende fare, al netto di una serie di misure e interventi che non sono direttamente legate al bilancio europeo (2021-2027). Si pensi alle politiche della Bce che ha rafforzato il così detto Quantitative easing. Al netto dell’entità delle risorse mobilitate dal bilancio europeo legate (1074,3 mld) e dal Next Generation Eu, per un importo complessivo di 1824,3 mld, pari a poco meno del 2% del Pil europeo, l’allocazione delle risorse sembra coerente con le grandi sfide di struttura che l’Europa nel suo insieme dovrebbe affrontare:

1) coesione, resilienza e valori;

2) risorse naturali e ambiente;

3) mercato unico, innovazione e agenda digitale.

Gli obbiettivi Eu sarebbero:

1) ricerca e l’innovazione, portate avanti con il programma Orizzonte Europa;

2) transizioni climatiche e digitali eque, attraverso il Fondo per una transizione giusta e il programma Europa digitale;

3) la preparazione, la ripresa e la resilienza, attraverso il dispositivo per la ripresa e la resilienza, rescEU e un nuovo programma per la salute, EU4Health;

4) la politica di coesione e la politica agricola comune, per garantire la stabilità e la modernizzazione;

5) la protezione della biodiversità e la parità di genere.

Sebbene vi sia un manifesto fraintendimento circa il “dare e l’avere” di ogni Stato, troppi opinionisti sottovalutano questa novità, derubricandola a spiccioli, oppure a cosmesi. Senza scomodare i grandi maestri dell’economia pubblica, ricordo che le tasse e l’istituzione di un istituto statistico riconosciuto, ovviamente assieme alla moneta, sono l’alfa e l’omega dell’economia pubblica. In particolare, la Commissione europea si è impegnata entro il 2021 a presentare alcune proposte relative a:

1) un meccanismo di adeguamento delle emissioni di CO2 alle frontiere;

2) un prelievo sul digitale;

3) un sistema di scambio delle quote di emissione dell’Ue.

Mentre per il 2024 dovrebbe delineare nuove e autonome entrate via:

1) imposta sulle transazioni finanziarie;

2) un contributo finanziario collegato al settore societario;

3) una nuova base imponibile comune per l’imposta sulle società.

L’incoerenza metodologica del Pnrr nazionale lascia un senso di incertezza: da un lato abbiamo la percezione che il Next Generation Eu sia una occasione storica, da un altro lato le misure del governo, almeno per missione coincidenti con quelle europee, ci sembrano deboli. Ciò che sarebbe utile è una osservazione del tessuto economico nazionale comparato ai principali paesi di riferimento (Francia, Germania e Spagna) per valore aggiunto, produzione, investimenti, intensità tecnologica e all’innovazione tecnologica, salario, offrendo una cartina (griglia) delle criticità e/o forza del sistema economico nazionale che il Pnrr dovrebbe aggredire.

La storia economica non si presenta mai allo stesso modo, ma le domande alle quali la politica e gli economisti devono rispondere sono sempre le stesse. Tutto ciò passa attraverso la costruzione di una nuova consapevolezza: una sfida sul piano delle idee che attende anche gli economisti del nostro tempo.