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Il disastro ambientale in Veneto raccontato dai bordi di un fiume

Prima la schiuma bianca a pelo d’acqua, poi l’erba che non cresce lungo gli argini: era il «modello veneto» degli anni ’70. Ora l’inquinamento è arrivato in falda, mentre il […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 12 aprile 2018

Prima la schiuma bianca a pelo d’acqua, poi l’erba che non cresce lungo gli argini: era il «modello veneto» degli anni ’70. Ora l’inquinamento è arrivato in falda, mentre il record del cemento produce alluvioni catastrofiche e allagamenti al primo temporale.

Alessandro Tasinato, 43 anni, dottore in Scienze ambientali, debutta con un romanzo che è la metafora precisa del Veneto con i pozzi avvelenati, gli acquedotti filtrati e i rubinetti che sgocciolano profitti. Con Il fiume sono io (Bottega Errante Edizioni, pagine 256, euro 16), racconta come la Rabiosa diventata Fratta Gorzone sia davvero lo specchio di storie dentro la storia, come di vortici oltre la golena.
Un fiume di parole. Dall’amicizia di gioventù con il coetaneo scapestrato, che segna la scoperta dei «luoghi inculti». Al lavoro nel settore ambientale, che cristallizza il potere dei Palazzi. Fino al ritorno alle radici, lì dove l’acqua e la natura pretendono rispetto, responsabilità, cura. Tasinato restituisce anche il Retratto del Gorzòn: gigantesca mappa catastale (lunga 7,95 e larga 3,38 metri, disegnata a tempera in 121 listelli di cartoncino in origine incollati su tela di lino) con cui la Serenissima misura il territorio prima delle bonifiche. Oggi la si può ammirare nelle stanze del Museo civico etnografico di Stanghella, lembo del Padovano ai confini con il Polesine.

Osserva Tasinato: «Noi dobbiamo convivere con una geografia nuova che si sovrappone a quella del ‘500, in cui però abbiamo smarrito il senso naturalmente selvaggio del fiume e restiamo disorientati perfino dal nome dei corsi d’acqua che cambia in pochi chilometri». Nella Rabiosa sono finiti gli scarichi inquinanti del distretto vicentino della concia, fra Chiampo e Arzignano. E a Trissino è andata peggio con l’emergenza conclamata dei Pfas: «Il fiume è addirittura entrato nel sangue di oltre 300 mila persone fra le province di Vicenza, Verona e Padova…».

Come lo definisce bene Gianfranco Bettin, Il fiume sono io è «un romanzo struggente, la profezia di un disastro ambientale che ha sconvolto il Veneto». La narrazione che si apre a ventaglio quasi inseguendo il corso d’acqua che sgorga dalle Prealpi, attraversa la Bassa fino a sfiorare l’Adige per poi gettarsi a pochi chilometri da Chioggia nel Brenta-Bacchiglione e raggiungere il mare Adriatico.
E da tecnico ambientale Tasinato chiosa: «La qualità dell’acqua non è fissata solo dall’indice chimico in base alle sostanze che la compongono. C’è anche una vera e propria scatola nera, la memoria del fiume: la biologia delle comunità di micro organismi che si depositano nel fondo». Nel 1999 l’Italia recepisce le direttive dell’Unione Europea che aggiornano la vecchia legge Merli, mettendo in primo piano la salvaguardia dell’auto-depurazione dei fiumi. «La Ue fissava in 15 anni il tempo della promessa di una buona qualità dell’acqua. Appuntamento disatteso, perché nel Fratta Gorzone è appena sufficiente, ma con tratti di scarsa o pessima qualità» commenta Tasinato.

Il fiume sono io schiude anche una prospettiva incoraggiante, proprio sul fronte della sostenibilità di un futuro meno disastroso nell’impatto ambientale. Più che la nostalgia, un attivismo responsabile: «Nell’ultima parte del libro invocoun nuovo modo di rapportarsi con il fiume. Non più madre natura da cui si riceve a senso unico, ma sposa come nella promessa sancita all’atto di matrimonio. Una promessa da mantenere in termini di responsabilità, nel solco della Laudato sì del 2015 non a caso enciclica di un papa che ha scelto di chiamarsi Francesco, recuperando il santo che usava termini affettivi nei confronti della natura…».

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