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Il dilemma di Renzi e la paura che la partita s’incarti

Il dilemma di Renzi e la paura che la partita s’incartiIl premier Matteo Renzi – Reuters

Quirinale La vera responsabilità grave che Grillo rischia di assumersi per la seconda volta in due anni è rifiutare di mettere in campo una candidatura comune con Sel

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 25 gennaio 2015

Niente da fare. Martedì il Movimento 5 Stelle sarà l’unico partito a non varcare la soglia del Nazareno per confrontarsi con Renzi sul prossimo presidente. Beppe Grillo liquida la faccenda con una battuta sprezzante: «Ma cos’è il Nazareno?». La scelta di disertare le consultazioni da parte del comico è comprensibile. Ogni partito porta acqua al proprio mulino, e per una forza come quella pentastellata denunciare l’accordo tra i soci del Nazareno è carburante prezioso. Del resto, non è che questa serie di incontri a tutto campo fissata dal Pd a partire da martedì, ma preceduta da un vertice lunedì tra Luca Lotti e Denis Verdini, sia quanto di più limpido ci si possa immaginare…

La vera responsabilità grave che Grillo rischia di assumersi per la seconda volta in due anni è rifiutare di mettere in campo una candidatura comune con Sel (e Nichi Vendola, dalla manifestazione di Milano Human Factor ha rinnovato l’invito anche ieri) e la minoranza del Pd. Non potrebbe che essere quella di Romano Prodi. Se nelle prime votazioni il professore ottenesse alcune centinaia di voti, Matteo Renzi sarebbe infatti costretto a fare quel che sta tentando in ogni modo di evitare: scegliere tra la minoranza del suo partito e l’asse con Silvio Berlusconi e Angelino Alfano.

Alla vigilia del rush finale, il problema, a guardar bene, è tutto qui. I voti necessari per eleggere un presidente nella prima votazione in cui sia richiesta la maggioranza semplice, dunque la quarta, i soci del Nazareno quasi certamente la avranno. Però eleggere il capo dello Stato col Cavaliere e contro tutta la sinistra del Pd vorrebbe dire spalancare le porte a una formazione alla sinistra dello stesso Partito democratico, che oggi stesso riceverà un fortissimo incentivo da Atene con la quasi certa vittoria di Alexis Tsipras.

Non è una ripetizione del vecchio adagio comunista: «Pas d’ennemies à gauche». Matteo Renzi è contentissimo di avere nemici a sinistra. Purché molto deboli, perché un vero partito di sinistra gli rivolgerebbe contro come un micidiale boomerang quel premio di maggioranza alla lista che ha preteso a tutti i costi.

Per palazzo Chigi è dunque vitale individuare un candidato che piaccia sia al centrodestra che alle minoranze del Pd. E’ una missione tanto difficile da legittimare la paura, anzi il terrore, che serpeggia in queste ore nell’entourage del segretario-premier: quello che tutto finisca per incartarsi.

Come risolvere il rebus Renzi ancora non lo sa, e infatti cambia umore e propensioni di frequente. E’ tentato dal mettere in campo un nome forte targato ex Ds, come Walter Veltroni o Anna Finocchiaro, nella speranza di costringere la minoranza ad accettarlo, sia pure obtorto collo. Ma dal momento che da quel fronte arrivano segnali tutt’altro che confortanti, l’inquilino di palazzo Chigi rispolvera il primo e a tutto’oggi preferito obiettivo: regalare la presidenza a un suo uomo, un fedelissimo, magari un esponente di seconda fila: Sergio Chiamparino, Graziano Delrio o Paolo Gentiloni.

Anche in questo caso dovrebbe scontare la rottura a sinistra, ma almeno otterrebbe in cambio il controllo pieno sul Quirinale e potrebbe comunque dire di aver conquistato anche il Colle per il Pd, sia pur di stretta osservanza renziana. Ma qui a creare problemi potrebbe essere proprio l’alleato numero 1, perché una cosa è garantire il Nazareno, un’altra la sua più potente metà

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