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Il dilemma del cantante

Il dilemma del cantanteI Linkin Park in concerto con la nuova vocalist Emily Armstrong

Fenomeni/Storie di band che hanno cambiato vocalist. Ecco gli avvicendamenti più clamorosi Sostituire una voce può comportare un possibile mutamento artistico, e anche una sfida che i fan non sempre sono in grado di accettare. Il recente caso dei Linkin Park è solo l’ultimo di una serie di episodi. Dalle fortune di AC/DC e Iron Maiden ai flop di Queen e Genesis

Pubblicato 41 minuti faEdizione del 19 ottobre 2024

In qualsiasi rock o pop band il cantante non rappresenta solo l’elemento vocale, ma incarna l’immagine stessa del gruppo, definendone identità e visione artistica. L’era d’oro delle rock band, iniziata con la British Invasion negli anni Sessanta, si è protratta, tra flussi e riflussi, fino agli anni Novanta e ha visto spesso i gruppi come unità collettive in cui, se il leader era senza dubbio il cantante, gli altri elementi erano parte essenziale di un’entità creativa. Nell’attuale panorama musicale tendono invece a emergere commercialmente sempre più artisti solisti e le formazioni, pop e rock, sono di frequente costruite attorno al carisma e al talento di un singolo individuo che coincide con l’interprete vocale, attorniato da musicisti di supporto che possono variare da un progetto all’altro. Non per nulla Bruce Springsteen ha definito gli U2 come «l’ultimo complesso di cui sono in grado di nominare tutti i componenti». Ma oggi come ieri non c’è niente di più traumatico per una band che perdere il proprio cantante, il proprio frontman. Cambiare il vocalist rappresenta un mutamento esistenziale che può definitivamente porre fine a una carriera. Non significa solo mutare l’immagine e magari il proprio stile, significa anche affrontare un rischio e proporre ai propri fan una sfida che non sempre sono in grado di accettare.

UNO SHOCK
Il più recente e clamoroso caso è quello dei californiani Linkin Park. Il loro primo album, Hybrid Theory del 2000, inaugurò il nuovo secolo del rock. Cavalcando l’onda nu metal e non rinunciando mai a melodie di impatto, furono in grado di creare un bestseller che ha venduto 32 milioni di copie. La band era animata soprattutto dalla dinamica dei due vocalist, Mike Shinoda, fondatore e principale ideatore della ricetta musicale del progetto, e il carismatico Chester Bennington, artista che univa fragilità e forza nelle sue interpretazioni e nei suoi testi, in cui spesso rivelava la sua lotta contro la depressione. Bennington si tolse la vita impiccandosi il 20 luglio 2017, due mesi dopo l’uscita del settimo album della band in cui aveva scritto versi quasi premonitori quali «sto tenendo duro, ma tutto è così pesante». Per molti Bennington è stato il Kurt Cobain di una nuova generazione di fan, capace di interpretare e rispecchiare le angosce e le debolezze dei millenial. È stato dunque uno shock per molti sapere solo qualche settimana fa che i Linkin Park sarebbero tornati sulle scene. Si sono presentati con un nuovo singolo, Emptiness Machine, e una nuova voce che accompagna quella di Mike Shinoda, non quella di un frontman, ma di una frontwoman, Emily Armstrong. Leader dal 2002 di una band losangelina chiamata Dead Sara, Armstrong, classe 1986, è da anni stimata nel mondo del rock californiano anche se la sua carriera non è mai decollata. Dave Grohl disse dei Dead Sara ai tempi dei loro esordi: «Dovrebbero essere la prossima band più grande del mondo». Le cose non sono andate così e la carriera di Emily Armstrong, nonostante infuocate esibizioni dal vivo, è sempre rimasta a metà del guado. Fino a oggi. La sua scelta come nuova cantante dei Linkin Park ha suscitato qualche diffidenza, anche se il pubblico ha subito apprezzato il nuovo singolo che nel primo giorno di release ha raccolto più di 2 milioni di riproduzioni via streaming. La scelta di una donna è coraggiosa e saggia. Armstong ha una voce ruvida e potente in grado di interpretare il repertorio di Bennington, come ha già dimostrato nelle primissime uscite live, e allo stesso tempo la sua presenza marca una netta discontinuità col passato e il desiderio da parte dei membri originari del gruppo di non reclutare un semplice rimpiazzo o un imitatore del compianto Chester. Vedremo come nel tempo il pubblico accoglierà il nuovo album From Zero e come reagirà ai concerti. Peraltro, confermando quello che disse Springsteen a proposito del ricordarsi i nomi dei componenti di un gruppo, i Linkin Park hanno cambiato anche il batterista, ma a parte i fan più assidui, nessuno sembra essersene accorto.

DIFFICILI ABITUDINI
Non è comunque facile far abituare il pubblico a un nuovo volto e a una nuova voce. Nella ricca storia del rock questi passaggi di consegne tra frontmen hanno segnato degli spartiacque fondamentali nelle carriere. Nella colonna dei casi fortunati ricadono senza dubbio gli AC/DC. Nel febbraio del 1980 rimasero orfani del loro cantante, lo strepitoso Bon Scott, ucciso a Londra da un’intossicazione da alcol. I fratelli Young, Angus e Malcolm, chitarristi e menti creative degli AC/DC, non ebbero nessun dubbio se proseguire o meno e decisero quasi subito di fare delle audizioni per sostituire il loro compagno scomparso. La scelta cadde sul cantante di una band di Newcastle da poco scioltasi chiamata Geordie. Il vocalist, Brian Johnson, era stato in passato già molto apprezzato dallo stesso Bon Scott. Ad aprile 1980 il gruppo volò alle Bahamas dove in sette settimane incise il 33 giri Back in Black destinato a diventare il secondo disco più venduto di tutti i tempi. I fratelli Young hanno però sempre considerato la band come cosa loro e quando, a inizio 2016, Johnson lamentò un grave problema all’udito, non ebbero problemi a rimpiazzarlo per un tour con l’imbolsito Axl Rose. La mossa lasciò interdetti molti storici fan, disgustati da come i due fratelli avessero liquidato un pezzo di storia. Di questo supposto affronto però, per fortuna, non esiste prova discografica. Nel 2017 è morto Malcolm Young e nel 2020 la band ha annunciato il ritorno al microfono di Brian Johnson che ha cantato nell’ultima produzione del gruppo, Power Up. Johnson, 76 anni, e Angus Young, 69 anni, sono gli ultimi due elementi della band che incise Back in Black a salire ancora sul palco. Il loro tour europeo del 2024 ha venduto più di un milione e mezzo di biglietti.

IDEE IMPRATICABILI
Alcune star rimangono insostituibili. I Doors dopo la morte di Jim Morrison valutarono l’idea di reclutare un nuovo frontman, pensando addirittura a Paul McCartney e a Iggy Pop, ma rinunciarono ben presto all’idea e proseguirono senza tanta convinzione come trio incidendo due esecrabili album in cui il ruolo di vocalist veniva diviso tra il tastierista Ray Manzarek e il chitarrista Robby Krieger. Anche i Queen nonostante la morte dell’inimitabile Freddie Mercury hanno cercato di proseguire sotto la guida del chitarrista Brian May. Non se la sono mai sentita tuttavia di nominare un sostituto ufficiale e l’unico disco di nuove canzoni realizzato con l’ex vocalist dei Free e dei Bad Company Paul Rodgers è uscito con la denominazione «Queen + Paul Rodgers» per non offendere la memoria di Mercury. Il lavoro peraltro non ha raccolto particolari entusiasmi e i Queen (ormai solo May e il batterista Roger Taylor) hanno proseguito unicamente come live act affiancati dal 2011 dal vocalist Paul Lambert.
Non legato a una disgrazia è stato l’avvicendamento del cantante nei Genesis che portò a un nuovo corso. La band raggiunse il successo nell’ambito del prog rock come quintetto, con Peter Gabriel alla voce, a partire dal 1971 con il classico Nursery Crime. Seguirono alcuni dischi passati alla storia. Nel 1975 però Gabriel annunciò, per ragioni artistiche e personali, il suo addio. Per la stampa questo segnava l’inevitabile fine dei Genesis. L’avventura proseguì tuttavia con il batterista Phil Collins che assunse anche il ruolo di cantante. Al contrario di qualsiasi previsione, i Genesis rinacquero a nuova vita in versione più pop consolidando gradualmente il successo e diventando sempre più popolari sul mercato americano, aiutati anche dalla fortunatissima carriera solista di Phil Collins. A dieci anni dall’addio di Gabriel, con l’ellepì Invisible Touch i Genesis erano ai primi posti delle chart internazionali sia con l’album che con il singolo omonimo tratto dalla raccolta. Passò ancora un decennio e anche Phil Collins decise di lasciare. Questa volta il rimpiazzo fu una scelta sbagliata. I due membri originari rimasti, il tastierista Tony Banks e il chitarrista Mike Rutherford, cercarono malamente di tirare avanti con un nuovo cantante, Ray Wilson, con cui pubblicarono lo stroncatissimo Calling All Stations. Bisognerà attendere il 2006 per il definitivo ritorno di Collins, celebrato con un tour mondiale.

PORTE GIREVOLI
I cambi di frontmen fanno anche parte della storia degli Iron Maiden. Il gruppo ha sempre avuto la leadership del bassista Steve Harris, mente e padrone della metal band inglese. I Maiden si fecero conoscere a inizio anni Ottanta grazie a due album in cui l’hard rock incontrava la furia del punk con qualche digressione prog. Il loro cantante, Paul Di’Anno, aveva una voce troppo punk e poco adatta per le ambizioni artistiche di Harris e soci, ma soprattutto era inaffidabile sul palco, sia per le limitate possibilità vocali che per la condotta personale. Nell’autunno 1981 fu allontanato. Di’Anno per anni non ha mai mandato giù il licenziamento, girovagando senza fortuna in una miriade di progetti musicali. In tempi recenti ha però riconosciuto che la formazione fece bene a liberarsi di lui. «Non li biasimo – ha detto nel 2022 -. Alla fine non riuscivo più a dare il 100 percento e non era giusto proseguire». Il poco felice destino di Di’Anno coincise con la fortuna degli Iron Maiden. Il nuovo cantante Bruce Dickinson, già voce dei Samson, mostrò subito di essere il frontman che stavano cercando. Il primo lavoro inciso da Dickinson, The Number of the Beast, fu il primo lp della loro discografia ad arrivare in vetta alle classifiche inglesi e aprì una nuova era dell’heavy rock. Nel decennio successivo i Maiden pubblicarono altri album di successo internazionale e si affermarono come una delle più grandi attrazioni live del mondo. L’avventura di Dickinson nel gruppo si interruppe bruscamente nel ’93. Il cantante era entrato in rotta di collisione con le idee creative di Harris, inoltre in quegli anni, con l’esplosione del grunge, i Maiden non apparivano più al passo con i tempi. Il divorzio non fece bene a nessuno. La «Vergine d’acciaio» scritturò Blaze Bailey, voce dei Wolfsbane, con cui incise due album snobbati anche dai fan. Dickinson non ebbe sorte migliore, producendo quattro trascurabili lavori solisti. Nel ’99 Dickinson è stato riaccolto a braccia aperte. La band è tornata a incidere album ottimamente accolti dal pubblico e a collezionare tour mondiali sold-out.
In altre heavy band il ruolo di vocalist è stato la rotazione di una porta girevole spesso foriera di periodi di declino. Ne sanno qualcosa i Deep Purple che a più riprese hanno tagliato i ponti con Ian Gillan senza trovare un degno sostituto. Oppure i Black Sabbath che dopo l’uscita di Ozzy Osbourne, quando il loro periodo d’oro si stava già esaurendo, rilanciarono la loro carriera con l’emergente Ronnie James Dio per poi passare, sotto l’egida del chitarrista Tony Iommi, attraverso ben sette cantanti diversi, tra cui proprio Ian Gillan, per poi tornare alle origini. I Van Halen nel 1985 sostituirono David Lee Roth con Sammy Hagar. Il successo non li abbandonò. Hagar lasciò nel ’96 e la band da allora ha navigato a vista fino alla morte di Eddie Van Halen nel 2020. Si destreggiarono malamente tra un nuovo vocalist (Gary Cherone degli Extreme) ed effimeri e conflittuali ritorni di fiamma con David Lee Roth e con lo stesso Hagar.
Curiosa la vicenda degli inglesi Judas Priest. Si affermarono negli anni Settanta con una serie di album fondamentali per la storia della musica heavy. Nel 1990 quando la scena era dominata dalle nuove leve metal, produssero, a sorpresa, uno dei loro capolavori, Painkiller. Questo grande ritorno però segnò anche la conclusione di un ciclo. Il cantante e leader Rob Halford annunciò la volontà di intraprendere un percorso solista. Gli altri componenti decisero di continuare e scovarono Tim «Ripper» Owens, un cantante americano leader di una band tributo degli stessi Priest chiamata British Steel. Owens si trovò così trasformato dall’oggi al domani da fan e imitatore a frontman del gruppo che adorava. Riuscì a incidere due album con la formazione, Jugulator del ’97 e Demolition del 2001, ma i dischi vennero accolti male dalla critica e ignorati dal pubblico. Il sogno di «Ripper» Owens durò fino al 2003 quando i Priest lo congedarono, riallacciando dopo quasi un decennio i rapporti con Halford. Ma la sua favola ha due seguiti curiosi. La sua promozione da leader di una band tributo a protagonista diventerà innanzitutto fonte di ispirazione del film Rockstar del 2001 con Mark Wahlberg. Infine dal 2020 Owens è vocalist di un nuovo progetto, i KK’s Priest, formazione voluta da K.K. Downing, storico chitarrista e autore delle musiche dei Judas Priest, uscito polemicamente dalla band che egli stesso aveva fondato nel 1968.

FAVOLE E VENDETTE
Se parliamo di cambi di frontmen e di favole non possiamo non ricordare Arnel Pineda voce degli americani Journey dal 2007. La band di Don’t Stop Believin’ ha vissuto diverse stagioni artistiche, sempre sotto la regia del chitarrista Neal Schon. Il grande successo del gruppo era legato al marchio che aveva impresso l’irrequieto cantante Steve Perry, voce angelica ma carattere difficile, con cui la band aveva definitivamente chiuso nel ’98. Un giorno su YouTube Schon si imbatté in un filmato di una cover band filippina, The Zoo, girato in un bar quasi deserto. Il gruppo era alle prese con Faithfully, classico dei Journey, e la voce impeccabile del cantante impressionò Schon. Il vocalist dello sconosciuto complesso venne subito contattato e arruolato senza esitazioni. Pineda veniva da un’infanzia passata a mendicare per le strade degli slum di Manila. I Journey con al microfono Pineda negli Stati Uniti riempiono gli stadi con i loro live e il loro Greatest Hits è diventato uno dei più immortali long seller del mercato discografico americano.
Non di rado la dipartita di un leader porta con sé pesanti strascichi legali. Ne sanno qualcosa i Queensrÿche, che dopo aver ottenuto il successo a cavallo tra gli Ottanta e Novanta, prima persero il loro principale autore musicale, il chitarrista Chris DeGarmo, e poi vissero una faida interna che costò il posto al vocalist Geoff Tate. Seguirono battaglie legali per l’utilizzo del nome con l’ex frontman che prima di essere fermato dai giudici, pubblicò nel 2013 un suo album a nome Queensrÿche dal titolo Frequency Unknown dove le iniziali F.U. (messe ben in evidenza sulla copertina) stavano per un «Fuck You!» rivolto agli ex amici. Altrettanto rancorosa, ma con una vendetta finale, è la vicenda dei Live, quartetto della Pennsylvania affermatosi nel 1994 con Throwing Copper, disco che ha venduto più di 8 milioni di copie. Dopo una sfilza di lp di successo, il loro astro stava tramontando e nel 2009 la band decise di prendersi una pausa. Nel 2011 il chitarrista Chad Taylor annunciò una reunion in cui però non era prevista la presenza del cantante Ed Kowalczyk che si stupì non poco per il «golpe» e ruppe ogni rapporto con gli ex compagni. I Live scelsero al suo posto un nuovo vocalist, Chris Shinn, con cui registrarono la raccolta The Turn nel 2014. L’album passò inosservato e nel 2016 fu quasi inevitabile la riappacificazione con Ed Kowalczyk e il ritorno alla formazione delle origini. Il finale è degno di un revenge movie. Kowalczyk, riappropriatosi del microfono e del ruolo di frontman, è entrato subito in rotta di collusione con Chad Taylor tanto da farlo uscire dalla line-up nel giugno 2022 e pochi mesi dopo ha liquidato gli altri due membri, il bassista Patrick Dahlheimer e il batterista Chad Gracey, licenziandoli e trasformando i Live di fatto in un suo progetto solista. Ha poi festeggiato la sua vendetta, cancellando dalle piattaforme streaming ogni traccia dell’album che non lo vedeva alla voce, iniziando un tour americano e pubblicando poche settimane fa un nuovo singolo. A volte il microfono tra le mani può essere uno scettro.

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