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Il diario della mia scomparsa

Il diario della mia scomparsatavola dal "Diario della mia scomparsa" – Hideo Azuma

Graphic Novel Il famoso mangaka Azuma racconta nel suo libro come, sopraffatto dai ritmi di lavorazione, nel 1989 decise di abbandonare fama e famiglia

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 3 agosto 2019

La vita del mangaka non è sempre rose e fiori. È abbastanza noto come Osamu Tezuka e Shotaro Ishinomori, due dei più grandi fumettisti giapponesi, erano soliti dormire pochissimo per poter disegnare e riuscir a rispettare le scadenze, tanto che spesso rimanevano negli uffici delle loro compagnie 24 ore su 24. I ritmi e le pressioni che l’industria dei manga forza sui suoi disegnatori e sceneggiatori, più o meno famosi, sono tragicamente vere e cnosciute, così come quelli imposti dall’industria “gemella”, l’animazione. È uscito qualche mese fa un volume che racconta con piglio umoristico ma tragicamente essenziale e diretto le tribolazioni che una vita sotto tali pressioni può portare. Il Diario della mia scomparsa (Edizioni J-POP, pp. 220, 2019, traduzione di Carlotta Spiga) è un bel libro a fumetti con cui l’autore Hideo Azuma ripercorre alcuni periodi della sua vita non certamente fra i più felici e facili. Conosciuto in Italia soprattutto per le due serie animate tratte da suoi lavori e popolari negli anni ottanta, C’era una volta… Pollon e Nanà Supergirl, Azuma disegna e scrive una sorta di diario in forma di manga, attraverso il quale racconta di quando, era il 1989, decise di abbandonare tutto, lavoro, fama e famiglia, e di vivere come un senzatetto, rovistando nell’immondizia e dormendo nei parchi. Il volume, così come quasi tutta la produzione di Azuma, si contraddistingue per un forte senso dell’umorismo, anche nel tratto del disegno, non per questo però le vicende che racconta perdono il proprio valore e la propria asprezza. Anzi il tono scanzonato e diretto con cui si descrive, arriva forse più in profondità nel cuore del lettore, anche per la sua onestà intellettuale.

Più che una critica diretta della società giapponese, come magari ci si potrebbe aspettare visto il titolo, questo diario sembra di più un manuale di sopravvivenza su come vivere ai limiti di una società capitalista avanzata. Come cibarsi di quello che viene buttato via, ripararsi dalla pioggia, mantenersi in salute anche quando si dorme all’aperto senza una casa, accendersi un fuoco e godere delle piccole cose della vita. Ma anche come usare lo spazio libero e pubblico delle biblioteche come luogo dove trovare un po’ di frescura e sollievo, specialmente durante l’estate o la stagione delle piogge.

La narrazione è abbastanza raspodica e salta da una vicenda all’altra con molta libertà, se la prima parte del volume è infatti incentrata sulla vita di Azuma come senza tetto in un boschetto ai margini della città, il diario continua il racconto descrivendo le varie peripezie dell’artista quando decide di spostare la sua vita da vagabondo in città. In questo periodo il nostro protagonista viene quasi per caso avvicinato da una persona che gli offre un lavoro a giornata, aggiustare le strade o altri lavori pesanti del genere che di solito vengono rifiutati dal resto della popolazione giapponese. Il mondo qui descritto nelle pagine del manga, benchè il registro comico rimanga lo stesso, è uno di quelli che si vedono o si leggono raramente in Giappone. La routine quotidiana dei vari senza lavoro che aspettano la chiamata, spesse volte già ubriachi di prima mattina, potrebbe benissimo venir fuori dalla pagine di un racconto di Charles Bukowski, sottratto il sesso e la scrittura allucinatoria dell’americano. La carellata di personaggi alla frutta e spesse volte meschini e ciarlatani è comica nella sua tragicità, il capo violento e straffottente con gli operai, ma servile con chi gli sta più in alto, quello che si vanta delle sue, fantasiose, esperienze sessuali e così via.

Nella seconda parte, il libro, quasi come una sorta di flashback, Azuma ripercorre brevemente la sua carriera di mangaka, quindi il percorso professionale che, a causa dei carichi di lavoro e dei ritmi forsennati dell’industria dei manga, e non da ultimo dal senso di vuoto e di impotenza che lo attanagliò come artista, lo portò a lasciare tutto. Vegono qui descritte le pressioni che gli editor gli ponevano addosso con scadenze quasi impossibili da rispettare, il rapporto professionale con la moglie, anch’essa mangaka, ed il ricorso all’alcol per fuggire da questa realtà non più sostenibile. In un passaggio del volume Azuma si mette in bocca queste parole “Nel ‘76 stavo disegnando per una rivista settimanale, una bisettimanale, quattro mensili, più occasionalmente due o tre one shot. Akita Shoten (una delle case editrici di manga più grandi in Giappone, ndr) sta cercando di uccidermi e ci sta riuscendo”.

Sakè, whisky, birra e tutti gli altri alcolici, hanno purtroppo accompagnato la carriera di Azuma fin dai suoi primi passi, nel periodo in cui visse fuori di casa paradossalmente ne consumò di meno, ed addirittura, secondo le sue stesse parole, il suo corpo diventò più forte. Dopo il ritorno alla vita da mangaka però, a poco a poco il demone dell’alcol prese il sopravvento e negli ultimi anni del secolo scorso si impossessò quasi totalmente di lui. Sono queste le pagine forse più dure dell’intero lavoro, pagine che risparmiano poco della miseria in cui l’artista era caduto, tremori incontrollabili delle mani che cercava invano di nascondere, le vomitate quotidiane ogni mattina dopo notti trascorse a bere da solo ed infine le prime allucinazioni sonore e visive che costrinsero la moglie a farlo ricoverare in un ospedale psichiatrico. É questa la parte terminale del volume, tutta ambientata nell’ospedale e nei vari circoli degli alcolisti anonimi che Azuma frequentò in quel periodo. Ancora una volta la parte più interessante è la carellata di personaggi che l’autore incontra, l’uomo che fissa diritto davanti a sè, l’alcolista che chiede a tutti ogni giorno di essere suoi amici, la donna che prega come una suora la sera ma che durante il giorno si comporta quasi come una diva. Anche se descritti in maniera quasi caricaturale, si intravede dietro ad ognuno di essi una storia unica e particolare. La discesa agli inferi di Azuma con tutti i suoi problemi, gli hanno quindi paradossalmente permesso di porsi, anche per solo poco tempo, ai margini della società e quindi di osservare degli strati di umanità che troppo poco spesso vengono raccontati, specialmente nel mondo del fumetto.

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