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Il destino del movimento e del pianeta

Il destino del movimento e del pianeta – Foto LaPresse

Fridays For Future Il movimento dovrebbe darsi una struttura organizzativa in rete, avere un obiettivo mobilitante nell’immediato: piantare alberi ovunque sia possibile per ridurre l’uso del suolo. Per il futuro deve puntare alla sostituzione globale di un’intera generazione di dirigenti che ha fallito, creando un patto per la salvezza della terra che eviti una guerra mondiale

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 6 ottobre 2019

Abbiamo troppa esperienza politica per sapere che il movimento mondiale avviato da Greta Thumberg, prima o poi, si spegnerà. Tutti i movimenti – che sono l’eccezione di fronte alla normalità della vita quotidiana – a un certo punto esauriscono la loro carica vitale ed escono di scena.
Ma non passano mai invano. A seconda della loro durata e incisività lasciano in eredità istituzioni o quanto meno mutamenti culturali più o meno di grande rilievo.
In Italia, ad esempio, il movimento partigiano ha lasciato in eredità la Repubblica e la Costituzione, il ’68-69 ha prodotto la demolizione di vecchi rapporti autoritari, l’affermarsi di una nuova soggettività e altro ancora. Il movimento globale degli adolescenti – forse geograficamente il più vasto che si sia visto sinora – sta già avviando una trasformazione culturale che durerà oltre il suo passaggio. Qui ha ragione Guido Viale. L’aver mostrato al mondo, con tanta forza, la minaccia mortale che incombe sulla nostra vita comune, ha un effetto dirompente sul pensiero unico capitalistico: mostra che la cultura dominante, quella che si fonda sulla retorica del nuovo continuo, del futuro che inizia ogni giorno, non è che un vecchio e cadente edificio. E non c’è accusa più devastante per i ceti dominanti e dirigenti che mostrare la loro “vecchiezza” rispetto alla realtà effettuale.
Imprenditori, manager, capi di governo, uomini politici, i cantori delle magnifiche sorti, il cui unico repertorio argomentativo è fatto delle parole crescita, sviluppo, grandi opere, Pil, oggi spruzzate con un po’ di green orecchiato dai movimenti, vengono ammutoliti. D’ora in poi sentiranno il vuoto e l’inconsistenza delle parole con cui hanno sinora giustificato il loro dominio.
Ma deve apparire chiaro che questo non basta. Il movimento dovrebbe darsi una struttura organizzativa in rete, pronta a scattare ad ogni campagna di massa, avviare iniziative di breve periodo che diano obiettivi concreti ai militanti, e infine avere una visione politica di prospettiva, capace di prevedere scenari realistici di dominio e di conflitto futuri.
Un obiettivo mobilitante nell’immediato è inserirsi in una iniziativa già avviata in vari paesi: quella di piantare alberi ovunque sia possibile. In Italia, ad esempio, un movimento di piantumazione di alberi, orti, siepi per produrre ossigeno e trattenere carbonio, potrebbe coincidere con una vasta opposizione popolare al processo di consumo di suolo. I ragazzi devono saper dire che ogni nuovo edificio che sottrae verde, danneggia il clima e quindi costituisce un danno a tutta la collettività. Così che il movimento possa imporre ai sindaci delle città un nuovo governo ambientale dei nostri centri urbani.
Ma il movimento deve compiere un duplice salto di consapevolezza: comprendere il meccanismo che regola il capitalismo mondiale oggi e avere una prospettiva realista del futuro nel medio periodo. Occorre avere chiaro che la distruzione crescente e dissennata delle risorse e dunque il riscaldamento globale, sono il frutto di una macchina mondiale semovente che non riesce a fermarsi. Questa macchina è costituita dalla divisione del pianeta in singoli stati in competizione tra loro e che dunque devono continuamente crescere. Una vecchia eredità storica, gli stati-nazione, pesano sul nostro presente e minacciano il futuro. Se noi osserviamo il pianeta da un satellite, non scorgiamo confini, divisioni, configurazioni statuali, ma un corpo cosmico unitario. Se la Terra venisse considerata così, vista l’enorme ricchezza materiale di cui dispone la maggioranza degli stati, non sarebbe più necessario che ciascuno competesse con l’altro, come avviene oggi, per produrre di più, conquistare nuovi mercati, saccheggiare le risorse, condurre guerre distruttive, ecc. Un accordo mondiale tra gli stati potrebbe abolire la corsa alla crescita – che è la ragione segreta grazie a cui ogni ceto dirigente nazionale impone ai propri cittadini le “necessità” dello sviluppo capitalistico – e dar vita a un accordo mondiale in cui la salvezza della Terra dovrebbe costruire il principio ispiratore fondativo.
Si tratta di un obiettivo gigantesco. Ma è l’unica prospettiva di salvezza e spiegherò a breve perché.
Noi siamo di fronte a politiche di potenza da parte dei vari stati che sarà difficile smontare. Questa poltica significa oltre mille miliardi di dollari all’anno in armamenti, cioè in mezzi di distruzione di uomini e territori e di deterioramento del clima. Immense risorse che potrebbero essere utilizzate per scopi opposti. Assistiamo al paradosso di un ‘Europa allineata la Patto atlantico, un’organizzazione che produce e distribuisce armamenti, genera e alimenta conflitti, ed è piegata agli interessi degli USA. Un paese che con il 5% della popolazione consuma oltre il 30% delle risorse mondiali e contribuisce più o meno nella stessa proporzione al riscaldamento globale. Un paese governato da un presidente che nega il riscaldamento climatico in atto e continua nella sua politica dissennata, appoggiando il saccheggio dell’Amazzonia perseguita dal presidente del Brasile.
Occorre perciò azzardare qualche linea di prospettiva. Il mondo non finirà né domani né dopodomani. L’Apocalisse ambientale non ci sarà. Quel che è tuttavia realistico immaginare è una crescente e alla fine drammatica riduzione delle risorse disponibili: terre fertili, acqua, materie prime, territori abitabili, ecc. Se questo è la scenario fisico più probabile del nostro prossimo futuro è evidente che, restando in piedi l’attuale architettura di divisione competitiva del mondo in stati, l’esito inevitabile sarà la guerra. La terza, ultima, definitiva guerra mondiale. «È probabile – ha scritto con amarezza George Steiner – che tutto finisca in un massacro». Contro questa prospettiva l’obiettivo necessario che il movimento dei giovani deve perseguire è la sostituzione a livello mondiale di una intera generazione di dirigenti. In Europa già nei prossimi anni essi potrebbero mandare a casa governanti e politici sopravvissuti a un’epoca ormai tramontata, e avviare lo smontaggio della Nato. Il centro politico-militare che contribuisce più di altri poteri all’attuale divisione del mondo.

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