Dopo una lunga assenza, grazie al prezioso lavoro di Cristian Lo Iacono e del Centro di documentazione GLBTQ del «Maurice» di Torino, torna disponibile Il desiderio omosessuale di Guy Hocquenghem (Mimesis, pp. 172, euro 16), un classico della filosofia politica militante, un libro che, con le parole di René Schérer, «ha fatto la storia». E, in questo caso, fare la storia va inteso in senso letterale, poiché Il desiderio omosessuale, pubblicato nel 1972, prepara e anticipa gran parte del lavoro di decostruzione e smantellamento che, nei decenni successivi, si svilupperà attorno alla finzione naturalizzante e alla violenza epistemica e materiale dell’eterosessualità obbligatoria. Il perno della potenza inattuale – in senso nietzschiano – di questo saggio risiede nel termine «desiderio», termine che non a caso scomparve dalle prime traduzioni dell’opera in varie lingue (compresa quella italiana in cui venne trasformato in una meno perturbante «idea»).

IL DESIDERIO che innerva lo scritto di Hocquenghem discende – non per filiazione ma per contagio – da quello che percorre L’anti-Edipo di Deleuze e Guattari, un desiderio che affianca l’interesse dei gruppi oppressi al fine di minare la capacità del sistema di riterritorializzare le spinte rivoluzionarie su un innocuo riformismo normalizzante – quello che oggi chiameremmo washing. Date queste premesse, l’aggettivo «omosessuale» svolge nello scritto del giovane filosofo francese lo stesso ruolo che gioca lo schizo in L’anti-Edipo: al contempo via di fuga e posizionamento politico incarnato.

È per questo che Hocquenghem può aprire il suo saggio affermando che «il problema non è il desiderio omosessuale, ma la paura dell’omosessualità». E, di conseguenza, non preoccuparsi di trovare un’essenza del desiderio omosessuale, ma di denunciare l’omofobia e i suoi dispositivi di controllo, dalla polizia alla psicoanalisi: «il desiderio emerge sotto forma multipla», è «un flusso ininterrotto e polivoco», ed è la norma eterosessuale, nel suo «delirio di persecuzione», che «fabbrica l’omosessuale» come infrazione morale, patologia psichiatrica o devianza più o meno tollerabile per mantenersi egemone e disinnescare la dirompenza del desiderio “perverso polimorfo” che «si produce senza riprodursi». Che è poi il meccanismo di tutte le norme al tempo del Capitale: addomesticare la potenza rivoluzionaria «dell’inclassificabile e della libido inutilizzabile» a scopi ri/produttivi.

DA QUI LA CRITICA al teatro di Edipo dove il «significante dispotico» Fallo ha, nell’economia desiderante, la stessa funzione del «denaro nell’economia capitalistica»: un feticcio «in rapporto al quale si creano le situazioni delle persone nella loro interezza». Da qui la rivolta contro la sublimazione e la privatizzazione dell’ano: «reinvestire collettivamente e libidinalmente l’ano significa indebolire il grande significante fallico che ci domina quotidianamente, nelle piccole gerarchie familiari come nelle grandi gerarchie sociali». Da qui, tra le molte «scoperte» anticipatorie di Hocquenghem, la messa in crisi della «differenza tra pubblico e privato, individuale e sociale», della «civiltà» come «successione edipica delle generazioni», del «sistema gelosia-concorrenza», della equivalenza normalizzatrice tra «scelta oggettuale» e «comportamento».
In breve, Il desiderio omosessuale, riprendendo ancora una volta il lessico di Deleuze e Guattari, si fonda sulla ricerca di una «modalità “e…e…”», distribuita e rizomatica, e sul rifiuto di quella «“o…o…”», frutto di una «segmentazione arbitraria» e violenta, in direzione di un «comunismo sessuale primario». Senza temere la perdita dell’identità costruita dal circolo mancanza-debito-colpa e, ancora di più, la «dissoluzione dell’umano».