Gli spazi sono nudi e freddi, quasi scarnificati, come gli occhi e le vite di Ermanno e Lena, i due giovani protagonisti di Sole, film di Carlo Sironi in sala dal 24 ottobre. Ambientata in una cittadina della provincia laziale, la vicenda racconta la storia di due giovani che si trovano a convivere costretti dal contratto non scritto che hanno stipulato con Fabio, lo zio di Ermanno. Lena, interpretata da Senda Drzymalska, è una giovane polacca che aspetta una bambina. Non si sa nulla del suo passato, tranne che parla abbastanza bene l’italiano e arriva già incinta.

Ermanno, un asciuttissimo e introverso Claudio Segaluscio, non ha più i genitori e vive le sue giornate fra amicizie con cui compie piccoli furti, espedienti e deprimentissime sale con slot machine dove perde quasi tutto quello che intasca. Già dai loro sguardi, dalla loro postura e dalla scarsa disponibilità a parlare si intuisce che sono sprofondati in una solitudine cosmica. I destini di Lena ed Ermanno si incrociano quando lo zio e la moglie, che non riescono ad avere figli, propongono a Lena di comprare la nascitura.

Ermanno dovrà accudire Lena fino al parto e poi riconoscere la bambina. L’accordo prevede che Lena se ne vada abbandonando la piccola e che Ermanno si dichiari incapace di allevarla, rendendo così più facile la richiesta di affido da parte degli zii che per questa compravendita di minore si impegnano a dare diecimila euro a lei e quattromila a lui.

I DUE GIOVANI accettano l’accordo senza mostrare la benché minima emozione o coinvolgimento, come se quel vivere assieme fingendo di essere fidanzati e futuri genitori fosse un mestiere come un altro, qualcosa che non li tocca e non li riguarda e di cui occuparsi in modo preciso, ma distante. Fanno tutto ciò che bisogna fare, le visite mediche, la spesa, i controlli mantenendo fra loro e la gravidanza un distacco totale. Senonché, quando la piccola nasce e, per ragioni di salute, Lena deve allattarla, la convivenza si prolunga e la presenza della bambina, che viene chiamata Sole, cambia i rapporti. Quella neonata che ha bisogno di essere lavata, nutrita, coccolata, addormentata, calmata quando piange irrompe nelle vite dei due giovani svegliando le reciproche sensibilità e il loro istinto di accudimento.

Vedono l’uno nell’altra la persona, riconoscono le reciproche ferite, scoprono che la tenerezza è possibile così come una relazione di affetto. Giorno dopo giorno, l’idea di vendere Sole diventa per i due un’ipotesi rifiutabile ed è qui che Ermanno scopre di potere e volere scegliere un altro destino per sé, per Lena e per la piccola. Ma decisioni così, benché svelanti, possono essere prese solo se tutti gli attori della vicenda sono disposti a farsene carico fino in fondo. I due ragazzi ne saranno capaci?

LA RISPOSTA è sì nel finale, ma soprattutto nel percorso dei protagonisti. Un percorso che apre infiniti interrogativi su che cosa significa essere genitori. Non si è genitori solo perché lo si vuole e infatti colpisce la feroce affettuosità con la quale la madre acquirente segue la gravidanza di Lena e poi, quando Sole nasce, va a visitare la piccola occupandosi di lei con dolce bramosia di possesso senza più rivolgere nemmeno uno sguardo a Lena, senza voler vedere che cosa significa separare un neonato dalla madre che lo sta allattando come se Lena, una volta che ha partorito, cessasse di esistere. Certo, quella donna tratterà bene quella bambina, la seguirà, la amerà, la accompagnerà nella crescita, ma non potrà mai dimenticarsi che quel percorso è iniziato da uno strappo mercanteggiato e pagato. Non si è nemmeno genitori solo perché si partorisce un figlio, perché la genitorialità si costruisce giorno per giorno, notte per notte, ascoltando, osservando, dialogando come avviene in qualsiasi relazione.

ESSERE GENITORI è una scelta, può essere un desiderio, un destino accettato oppure, come capita a Ermanno, la scoperta di un percorso possibile. Di sicuro la genitorialità non è un diritto, mai, e per una ragione semplicissima. Non si può pretendere di avere diritto sulla vita di qualcun altro, sia esso adulto o bambino, perché le persone non sono oggetti che si possono prendere, comprare, vendere, buttare, regalare o ordinare come al mercato.