Dopo lo scivolone di giovedì alla Camera, dove la maggioranza è evaporata sullo scostamento di bilancio, la destra si ricompatta. La giornata riparativa si svolge in tre atti. Prima il consiglio dei ministri approva una nuova relazione. Poi a Montecitorio e Palazzo Madama il testo supera la prova del voto in aula.

DAL PUNTO di vista formale, tutto pare risolto, ma la giornata parecchio convulsa potrebbe lasciare più di uno strascico dal punto di vista politico. I capigruppo di maggioranza porgono le loro scuse agli elettori e alla presidente del consiglio, ma negano che il passo falso di due giorni fa sia frutto di tensioni all’interno delle forze che sostengono Meloni. Smentiscono che i voti mancanti fossero dovuti a fenomeni di assenteismo, si parla invece di «eccesso di confidenza» all’interno dell’alleanza. Piuttosto, rilanciano la palla alle opposizioni, lamentano in maniera un po’ paradossale che anche da quella parte ci fossero seggi vacanti. Infine, sostengono che dopo il taglio dei parlamenti la questione dei quorum vada ricalibrato. Però anche prima della riforma costituzionale era richiesta la maggioranza assoluta per questo genere di votazioni. In più, con gruppi più ristretti dovrebbe essere più facile tenere in mano il pallottoliere e considerare le soglie di rischio. Tuttavia, dicono da Fratelli d’Italia, con i numeri attuali aumenta il peso specifico di chi ha il doppio incarico e fa sia il parlamentare che il sottosegretario. Questa diagnosi nel corso delle ore deve assumere consistenza perché Meloni, da Londra, sente il bisogno di smentire la necessità di rimpasti sulla spinta degli ultimi eventi: «Non prevedo ipotesi di sostituzioni di doppi incarichi – dice la premier – Credo soprattutto che bisogna parlare con i capigruppo e trovare un modo per garantire che si riesca a fare il doppio lavoro lavorando di più, se necessario».

TENSIONE soprattutto alla Camera. Il capogruppo FdI, Tommaso Foti sembra aver imparatola lezione del giorno prima quando riconosce: «Questo spettacolo non l’avevamo mai dato». Lo stesso faranno i suoi colleghi di coalizione. Poi però lo stesso Foti attacca: «Consiglierei all’opposizione di guardare le sue, di assenze, perché esiste un comune senso di responsabilità». Dai banchi di Pd e 5 Stelle partono le proteste. Il dem Nico Stumpo si dirige sotto i banchi della destra, per poco non scoppia una rissa e la seduta viene sospesa. Il presidente d’aula Lorenzo Fontana aveva già interrotto i lavori a causa del malore che aveva colto il portavoce verde Angelo Bonelli, che ha dovuto ricorrere all’infermeria e poi è stato accompagnato in ospedale per ulteriori accertamenti.

L’ALTRO MANTRA che a destra accomuna tutti, a partire dal capogruppo berlusconiano Paolo Barelli, è che quanto accaduto giovedì non abbia un significato politico: «Non c’è nessuna crisi, siamo uniti». Tuttavia, proprio la riunione del gruppo di Forza Italia sarebbe stata particolarmente tesa, con l’ex capogruppo Alessandro Cattaneo molto critico sulla gestione di Barelli. La Lega è stata la componente con maggiori assenti nel giorno della debacle. Riccardo Molinari accetta di prendersi la sua parte di responsabilità in quanto ma smentisce che si trattasse di fuoco amico, e che magari i padani avessero voluto dare un segnale al ministro Giorgetti che, assicura, «va ringraziato».

DAL VERTICE Pd a Montecitorio, Chiara Braga parla di una «premier Meloni costretta a fare i conti con una maggioranza incapace di garantire i numeri necessari ad approvare il Def». Tra i 5S si registra il ritorno in prima linea di Riccardo Ricciardi, per i primi mesi di questa legislatura rimasto sottocoperta in quanto candidato alla presidenza della Vigilanza Rai. «Ci attendevamo almeno che la presidente Meloni andasse al Quirinale a chiedere scusa per una pagina vergognosa», attacca Ricciardi. Risultato finale: 221 sì e 116 no.

SI VA IN SCENA al Senato e tutto sembra pronto lo scontro. Ma quando il presidente La Russa dà all’aula la notizia della morte del senatore di FdI Andrea Augello si capisce che non ci sarà nessuna replica dei fatti di Montecitorio. Così, la maggioranza passa (112 voti favorevoli e 57 contrari) senza drammatizzazioni. «Ho fatto tanti anni in Parlamento, può succedere. Ma non deve succedere più», è la sintesi con ultimatum di Giorgia Meloni.