Il cuore (e il cervello) dell’Europa
Una guerra “nel cuore dell’Europa”, si sente ripetere. E purtroppo è vero. Questo spiega la reazione che c’è stata, finalmente, contro la guerra – e contro l’invasore Putin – nelle nostre città, e in tante città europee, con manifestazioni di migliaia e centinaia di migliaia di persone. Non posso fare a meno di pensare che guerre anche molto più brutali – almeno finora – di quella in corso in Ucraina, e non molto distanti da noi, non hanno saputo suscitare una reazione simile. Era – o no? – “cuore dell’Europa” anche il territorio balcanico bombardato dalla democratica Nato, ma si tende a dimenticarlo. Il “nostro” cuore batte soltanto se si sente direttamente minacciato?
Accanto al ripudio della guerra, si manifestano anche altre pulsioni, che condivido molto meno. Dopo tanto parlare di “guerra” a sproposito nella “battaglia” contro il virus, alcuni sembrano soddisfatti di calarsi nel linguaggio propiziato da un vero conflitto armato.
Ora che “la parola è alle armi” è facile convincersi che contro la forza bruta valga soltanto un’altra forza bruta uguale e contraria. Ieri sulla prima pagina del Corriere della sera il dettagliato elenco: “Missili Stinger antiaerei, missili Spike anticarro, mitragliatrici Browning, Mitragliatrici Mg, munizioni. Ecco le armi che l’Italia invierà a Kiev…”.
Le armi, dalle preziose spade di acciaio raffinatissimo ai lucidi revolver a tamburo, ai moderni mitragliatori, alle sciabole laser dello Jedi, esercitano un fascino oscuro. Vorrei trasformare il desiderio di maneggiarle in profondo orrore.
Certo se il debole è aggredito la reazione è correre in suo soccorso, pronti a battersi, anche a rischio della vita. L’arma della critica – ha detto il filosofo – non può sostituire la critica delle armi. Ma se non continua la ricerca di un altro genere di forza capace di vincere la violenza bellica – o quanto meno a renderla un tabù (come l’incesto, per dire) – il mondo non cambierà mai.
Ho sognato di fare un sogno: Zelensky, anziché chiamare il suo popolo alla resistenza contro l’invasore, invitava gli ucraini a opporre solo resistenza passiva, disarmata. E lui stesso era incerto quanto al proprio destino. Consegnarsi spontaneamente al nemico: fate di me quel che volete, sostituitemi con i vostri fantocci, ma non alzate un dito sulla mia gente. Oppure accettare gli inviti di Usa e Regno Unito, salvando se stesso e la propria famiglia. Non per costituire un governo in esilio, ma per ricomporre una compagnia teatrale, e da bravo comico rappresentare in tutti i luoghi del mondo disposti a ospitarlo uno spettacolo sulla ottusa, violenta stupidità di Putin. Fino alla vittoria…Che sogno assurdo! Lo ammetto.
Per reagire alla mostruosità che vediamo non basta ricordarsi di avere un cuore – peraltro sempre pericolosamente intermittente: alla frontiera polacca un gruppo di profughi da Kiev è stato respinto. Aveva l’imperdonabile difetto di essere composto da persone dalla carnagione troppo scura! E non servono digressioni oniriche strampalate. Bisogna tentare di riutilizzare il cervello.
Letizia Paolozzi, osservando come anche l’idea del “prendersi cura” rischi di essere banalizzata e fraintesa nelle discussioni di questo momento oscuro, ha scritto della necessità di un “nuovo alfabeto del conflitto”. Le cose che viviamo vanno rinominate. Una guida per questo arduo programma politico sarà il desiderio che l’arma della critica vinca finalmente sulla critica delle armi?
Incoraggia la notizia, spero non falsa, che alcuni soldati russi si siano arresi senza combattere. Non si spara sui fratelli ucraini. Non si spara su nessuno.
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