Martedì prossimo Marta Cartabia accompagnerà il presidente della Repubblica nel plenum straordinario del Consiglio superiore della magistratura, dedicato alla procura europea. Ieri intanto il Csm ha cominciato a discutere un parere pesante, a tratti assai critico, su una delle riforme della giustizia che la ministra ha davanti a sé. Il parere lo ha chiesto il precedente ministro, il grillino Bonafede, che ha firmato il disegno di legge delega di riforma del Csm. Quel testo di legge è adesso alla camera, in attesa degli emendamenti che la nuova Guardasigilli ha affidato allo studio di un gruppo di lavoro. Passaggio delicatissimo per il governo, visto che dovrà conciliare le esigenze conservative della vecchia maggioranza con la spinta a cambiare tutto dei nuovi arrivati Lega e Forza Italia. Un piccolo segnale delle tensioni che sotto traccia agitano la giustizia è arrivato ieri sempre al Csm, quando i due consiglieri laici in quota Lega non hanno appoggiato (un voto contrario e un’astensione) la richiesta di mantenere fuori ruolo il capo di gabinetto della ministra, Raffaele Piccirillo. Il via libera per lasciare al ministero il principale collaboratore scelto da Cartabia è passato così di stretta misura (10 voti su 26).

Nel lungo testo del parere che il Csm ha cominciato a discutere a proposito della sua stessa riforma, i giudizi negativi superano di molto quelli positivi. I punti approvati della legge firmata da Bonafede, e difesa adesso da 5 Stelle e Pd, sono praticamente solo due. L’anticipo del concorso per accedere alla magistratura che può ridurre i filtri per censo e ringiovanire la categoria – scelta che però è contraddetta da altre norme che tornano a far pesare di più l’anzianità di servizio – e lo stop alla cosiddette «porte girevoli» tra magistratura e politica (con qualche eccezione).

Prevalgono le critiche. Innanzitutto perché la legge irrigidisce, dettandoli fino al dettaglio, i criteri ai quali deve attenersi il Csm nel valutare i candidati agli incarichi direttivi e semi direttivi e alla Cassazione. Una «burocratizzazione del procedimento», secondo l’ex presidente della Corte costituzionale Gaetano Silvestri che è stato audito dalla camera, giudicata molto negativamente dal Consiglio. Almeno nel parere discusso ieri, dove si legge che il progetto del governo «ridimensiona le prerogative costituzionali» del Csm, retrocedendolo a organo amministrativo. È probabile però che questa formula, che corrisponde alle preoccupazioni della componente togata, sarà emendata dai laici.

Le ragioni per cui il (precedente) governo ha pensato di togliere ogni margine di discrezionalità ai consiglieri – per esempio introducendo l’obbligo di audizione dei candidati e il rigoroso rispetto del criterio cronologico nella copertura degli incarichi, per evitare le nomine «a pacchetto» – è evidentemente quello di rispondere alle degenerazioni esplose con il «caso Palamara». Ma lo ha fatto trasferendo in una legge ordinaria quelli che sono già oggi i criteri che il Consiglio si è già dato in autonomia nelle sue circolari. L’effetto è paradossale: diventano rigide le regole che non hanno evitato gli accordi dell’hotel Champagne.

Cartabia dovrà riflettere su questo, così come sulla nuova legge elettorale del Csm immaginata da Bonafede che nel parere discusso ieri viene demolita (l’orientamento in questo caso appari quasi unanime). Il complesso sistema elettorale maggioritario a due turni al quale si immagina di affidare la selezione di venti consiglieri togati, infatti, viene giudicato «non idoneo allo scopo» che sarebbe quello di combattere il correntismo, e anzi «foriero di effetti distorsivi».

Ai deputati della commissione giustizia queste osservazioni non giungeranno nuove, perché sono le stesse che hanno ascoltato nelle audizioni dove alle critiche delle toghe, come l’ex procuratore di Milano Bruti Liberati, si sono aggiunte quelle dell’accademia. Meccanismi come il voto plurimo, ha spiegato per esempio il costituzionalista Massimo Luciani, favoriscono gli accordi tra correnti. E non è detto che servano a garantire la rappresentanza di genere. La critica di fondo è quella che avanza il consigliere di Area Ciccio Zaccaro, avvertendo che non è con interventi sul sistema di voto che si possono rivolvere i problemi di «moralità» della rappresentanza. «Non ha senso parlare di governabilità per il Csm – dice – visto non abbiamo bisogno di maggioranza stabili e minoranze inquadrate. A questo servono le leggi maggioritarie mentre al Csm è bene che accada l’opposto, che ci sia fluidità e che nascano intese nel merito delle questioni. Serve che sia garantita la rappresentanza e per questo non c’è che una legge proporzionale».