Il crollo del Monte dei Paschi è un viatico alla «svendita»?
Banche Il titolo perde il 22% a Piazzaffari, aggravando il tracollo già registrato nelle ultime settimane. Governo cauto in attesa della "bad bank"
Banche Il titolo perde il 22% a Piazzaffari, aggravando il tracollo già registrato nelle ultime settimane. Governo cauto in attesa della "bad bank"
Anche la relativa fragilità del sistema bancario italiano, esemplificata in questi primi venti giorni dell’anno da un calo complessivo del 21% per gli istituti quotati in borsa, a fronte del -18% circa dell’indice Eurostoxx delle banche Ue, non basta da sola a spiegare il crollo di Carige e Monte Paschi, anche ieri congelate a Piazza Affari quando perdevano la prima il 18% a 0,64 euro per azione, e la seconda il 22% a 0,51 euro per titolo.
Davvero troppo, visto che il comparto bancario nel suo complesso ha perso “solo” il 6,5%. «A questo punto – osserva un addetto ai lavori – non è fantascienza pensare che, in parallelo agli attacchi speculativi, c’è chi stia progettando le acquisizioni dei due istituti di credito». A prezzo stracciato, visto l’andamento dei titoli: dall’inizio del 2016 le azioni Mps hanno perso in pochi giorni più della metà del loro valore, e quelle Carige poco meno della metà. Se poi l’analisi si allarga agli ultimi sei mesi, il crollo è ancora più marcato. Questo nonostante le ripetute ricapitalizzazioni, e i fondamentali delle due banche tornati all’altezza delle consorelle giudicate più robuste.
Per certo, di fronte all’ipotesi di possibili acquisizioni, il governo – che auspica aggregazioni nel settore – tiene un profilo molto basso. Dopo un incontro a tre Renzi-Visco-Padoan, quest’ultimo ha rassicurato: «Si registrano turbolenze nei mercati finanziari che riflettono gravi impulsi di instabilità provenienti dal sistema internazionale. Malgrado queste turbolenze, la solidità fondamentale del sistema bancario italiano, che continua a essere considerato dagli investitori uno dei posti più attraenti, va avanti». Di più: «Io dico ai risparmiatori italiani di stare tranquilli, l’Italia cresce e va avanti». Quanto a Mps e Carige, Padoan è stato all’ovvio: «Per loro c’è una marcata volatilità, mossa da manovre speculative». E anche la Consob di Vegas ha minimizzato: «È solo volatilità».
Ben più interessante, e corposo, l’intervento del presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che dopo il comitato esecutivo dell’associazione ha guardato al corno principale del problema: «È opinione unanime dei banchieri che sia necessario concludere al più presto i negoziati sulla cosiddetta bad bank. Apprezziamo i ragionamenti e l’insistenza del governo italiano. Ma riteniamo che una così lunga trattativa sia alla base, anche in concorso con altri fattori, più o meno noti o trasparenti, della incertezza dei mercati».
Patuelli ha voluto puntualizzare un concetto: anche una versione “leggera” della bad bank andrebbe bene. «In questo momento – ha osservato il presidente dei banchieri italiani – meglio poco che niente».
Ed è proprio quella della bad bank la variabile che alimenta le incertezze e le manovre speculative: dopo aver provato per mesi a far passare un modello di bad bank che socializzava le perdite e lasciava inalterati profitti – e vertici – delle banche, con i conseguenti niet Ue (ufficialmente perché «aiuti di Stato»), ora il governo Renzi ha presentato il progetto di una bad bank “leggera”. Ma sempre con il nodo di far garantire le sofferenze «a prezzo di mercato».
E il caso di Banca Etruria, che prima di essere commissariata ha piazzato una parte delle sue sofferenze prendendo circa il 35% del valore dei crediti, mentre dopo ha visto Bankitalia calcolare le altre sofferenze – forse su impulso di Bruxelles – al 17,5%, fa capire le difficoltà di trovare una quadra. Con una Ue che del governo Renzi si fida il giusto. Cioè poco.
La partita delle sofferenze, che nel sistema bancario italiano ammontano a 200 miliardi, più altri 150 miliardi di crediti dubbi, si riflette ad esempio sulle vicissitudini del Monte Paschi, che ha 9,4 miliardi di sofferenze e 24 miliardi di crediti dubbi. Al tempo stesso però gli analisti finanziari osservano che i dati di palazzo Salimbeni sono noti da molto tempo al mercato. E non bastano a spiegare un crollo di questa portata del titolo Mps. Insomma se i fondi, preoccupati, vendono, qualcuno potrebbe poi comprare. Ma non subito. Ieri ad esempio Unicredit e Intesa San Paolo hanno smentito. Prima c’è da vedere come finisce la partita della bad bank. Giocando sui tempi.
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