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Il cowboy e i ragazzi del musical

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Al cinema Arriva il 19 giugno nelle sale «Jersey Boys», il nuovo film di Clint Eastwood tratto dall’omonimo musical evergreen a Broadway sulla carriera di Frankie Valli e dei Four Seasons

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 18 giugno 2014

L’anno è il 1962. I Beatles non sono ancora atterrati a New York. Un gruppo di ragazzini proletari del New Jersey, sull’onde dell’irraggiungibile falsetto tenore del loro cantante e di un sound inedito, jazzato e romanticissimo, schizza in cima alle hit parade con una canzone che si chiama Sherry. Dall’altra parte degli States, un giovane attore che ha fatto gavetta nelle retrovie degli studios sta finalmente cominciando a farsi conoscere nella terza stagione di una popolare serie televisiva della CBS, Rawhide. Entro due anni diventerà anche lui famosissimo, grazie a un oscuro western italiano girato in Almeria. L’attore è, ovviamente, Clint Eastwood e Rawdy, il cowboy naive che interpretava in Rawhide, fa capolino dallo schermo in bianco e nero di un televisore, in Jersey Boys, l’ultimo film dell’instancabile attore/regista.

Eastwood non offre chiavi di lettura «importanti» dei suoi film, le dissemina qua e là, in piccoli momenti, come frasi in un pezzo di free jazz, ma quell’ammicco buffo a una realtà condivisa è il/al cuore di Jersey Boys, il nuovo film in uscita il 19 giugno nelle sale italiane e l’indomani nei cinema americani.

L’ottantaquattrenne ex-ispettore Callahan, non sembrava in effetti, la scelta più ovvia per portare sul grande schermo il musical di Bob Gaudio (musiche) e Bob Crew (testi), su libretto di Marshall Brickman e Rick Elice, un evergreen a Broadway, e qua e là per il mondo, dal momento del debutto, nel 2005. Lo spigoloso «Clint» e l’universo edulcorato del musical hanno, in apparenza, un dna profondamente diverso. Però, da anni, Eastwood sta cercando di fare un film da A Star Is Born e la musica è stata protagonista di due dei suoi lavori più personali da regista, Honkytonk Man (il country, nel 1982) e Bird (l’amatissimo jazz, nel 1988). «Mio padre era un cantante. Durante la Depressione aveva un gruppo, con cui suonava a feste private e in piccoli club», ha detto Eastwood recentemente in una bella intervista realizzata da Scott Foundas per Variety «Quando ero bambino suonavo il piano e avevo imparato a imitare i successi discografici del momento». Da teen ager appariva anche lui in piccoli club, pagato magari solo una pizza e una birra.

Jersey Boys inizia nel 1951, la grande Depressione è finita da un pezzo, ma le mean streets di suburbia italoamericana, dove sul muro la foto di Frank Sinatra ha lo stesso peso di quella del papa, che vediamo nel film sembra abbiano poco del glamour del boom del dopoguerra. Tony, Tom e Nick sono tre amici che flirtano con la galera almeno tanto quanto con la musica. I piccoli lavoretti più o meno riusciti fatti per conto del boss mafioso locale Gyp De Carlo (Christopher Walken, bravissimo, e che si commuove ascoltando la canzone favorita di sua madre) sono il modo migliore con cui garantirsi una carriera. Perché le loro apparizioni musicali nei localini di periferia servono più che altro a rimorchiare le ragazze.

Eastwood sottolinea la durezza di quegli inizi, la presenza latente di un sottobosco del crimine anche quando, per i nostri eroi, le cose iniziano ad andare molto meglio. Grazie alla voce magica di Frankie (John Lloyd Young, vincitore di un Tony Award nella produzione originale del musical), all’intraprendenza di Tommy (Vincent Piazza) e all’iniezione creativa portata nella banda dall’arrivo Bob (Eric Bergen), autore di tutte le loro canzoni di maggior successo, i Four Seasons diventano uno dei gruppi più hot del momento. Le note di Big Girls Don’t Cry, Walk Like a Man, Rag Doll riempiono le living rooms di tutt’America e i sogni delle ragazze. Ma, raccontato da Eastwood, il backstage di quella musica effervescente, luminosa e carefree, è fatto di matrimoni sfasciati, amanti scontente, figli lasciati troppo a se stessi, debiti che si accumulano con loschi figuri, come i rancori tra gli ex amici d’infanzia.

Il «prezzo» di fare l’artista è spesso lasciare indietro delle cose molto importanti, ci aveva giàspiegato in altri suoi film – e, alla fine gli ex teen ager invecchiati, riuniti un’ultima volta alla Rock ‘n Roll Hall of Fame, hanno almeno una traccia della malinconia di certi pistoleri di Clint. Lavorando come al solito d’intuizione, per realizzare Jersey Boys Eastwood ha buttato via le numerose stesure della sceneggiatura che si erano accumulate in dieci anni di gestazione del progetto ed è tornato alla prima mai scritta, dai librettisti originali del musical. Per il cast, voleva facce sconosciute al cinema e, servendosi di attori presi da diverse produzioni del musical, e che quindi lo conoscevano benissimo, si è garantito la possibilità di lavorare come al solito, in fretta. Stampando il primo o il secondo ciak di ogni inquadratura – anche se ha girato tutto, canzoni incluse, in presa diretta.

Completamente libero come i film di Eastwood sono ormai da decenni, Jersey Boys piacerebbe a Vincente Minnelli, specialmente quello di Some Came Running. Solo alla fine Eastwood si/ci concede un numero musicale hollywoodiano classico. Con tutti i personaggi in scena che cantano e ballano insieme. Ma Jersey Boys è un musical in tutto e per tutto, dentro.

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