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Il corteo della sposa entra nella Fortezza Europa

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Mostra di Venezia Una festa di nozze clandestina dall'Italia alla Svezia

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 23 agosto 2014

Io sto con la sposa è la storia di un viaggio clandestino dall’Italia alla Svezia, al seguito di uno strampalato corteo nuziale, tra le pieghe del vestito bianco di Tasneem, per abbattere in modo civile e poetico le barriere della Fortezza Europa. Nasce dalla convinzione che viaggiare non sia un crimine, e che criminale sia, invece, chiudere gli occhi di fronte ai morti di viaggio sulle nostre spiagge mediterranee e di fronte ai morti nella guerra in Siria.

Si realizza grazie all’intuizione e al lavoro folle e visionario di tre autori: il regista Antonio Augugliaro, il poeta e scrittore palestinese siriano Khaled Soliman Al Nassiry, il giornalista Gabriele del Grande, autore del blog Fortress Europe, il sito che da anni tiene a memoria i numeri ma soprattutto restituisce le storie della migrazione nel Mar Mediterraneo. Io sto con la sposa è quattro giorni di viaggio, tremila chilometri, ventitré persone vestite a festa; è una storia fantastica e reale, un finto corte nuziale ma anche un’azione politica per accompagnare cinque persone siriane palestinesi in fuga dalla guerra da Milano fino a Stoccolma.

Un’idea nata dopo l’incontro – avvenuto alla stazione di Milano Centrale nell’ottobre 2013 – dei tre registi con Abdallah, Abu Manar, Manar, Abu Nawar e Mona, tutti sbarcati a Lampedusa, senza documenti e intenzionati a partire per il nord Europa. Un copione già visto, quello fatto di soldi e contrabbando. I tre autori si immaginano un film diverso e lo mettono in scena. In pochissimo tempo trovano la troupe, mandano gli inviti agli amici italiani, e mentre Abdallah, lo sposo, prova l’abito nuziale, gli altri si imbellettano per la festa (Milano, si sa, pullula di hairstylist). C’è anche una sposa che al momento della partenza ci ripensa e dalla Spagna arriva Tasneem, un’amica siriana palestinese che prende il suo posto e si infila l’abito nuziale alle quattro del mattino, l’orario della partenza, il 14 novembre 2013.

Da lì il viaggio sulle note dell’energia trascinante delle strofe di MC Manar, che ha dieci anni, un inesauribile e naturale flow rap e che ha visto e conosciuto la guerra nel suo paese. Sotto lo sguardo orgoglioso di suo padre Abu Manar, con la forza e le storie di Mona e di suo marito Abu Nawar e il suo inseparabile cappello. Le risate, le preoccupazioni, la fatica, la tensione, la gioia, la paura, i ricordi dolorosissimi. E gli stessi registi protagonisti del racconto on the road, il lavoro della troupe 24 ore su 24, la partecipazione degli invitati della carovana, tutti testimoni di un matrimonio che nessuno ha mai dubitato si dovesse celebrare. Perché «non siamo contrabbandieri, stiamo facendo un matrimonio, quale poliziotto chiederebbe i documenti a una sposa?»: una specie di mantra temerario e mai smentito. Passando per Marsiglia, Bochum, Copenaghen, Malmo.

Chi scrive ha partecipato tra gli invitati, alla guida di un’automobile che probabilmente – data la cilindrata – non guiderà mai più. In compenso ha fatto parte di una storia che ha dell’incredibile, attraverso un’Europa solidale che è anche un’altra Europa: che ha allentato vecchie reti di sentieri di frontiera, che ha accolto gli invitati con feste ristoratrici, che ha regalato la lunga notte – alba di Bochum, che ha ascoltato poesie in arabo commuovendosi pur non riuscendo a tradurre una parola, che ha fatto tappa a Copenaghen e che in qualche modo ha fatto muovere il treno sulle rotaie fino a Malmo. Perché se il corteo nuziale era una trovata per evitare di essere arrestati – gli autori rischiano fino a 15 anni di carcere per favoreggiamento all’immigrazione clandestina – e se dopo tutti i chilometri macinati gli autori correvano anche il rischio che diventasse un film alla George Romero – tra cravatte allentate, bottoni smarriti, scarpe con il tacco rimpiazzate da comodi scarponi, occhi truccati sostituiti da marcate occhiaie – tutto il resto era ed è dannatamente vero.

Durante il viaggio si ride, si canta, ci si prende in giro certo, come si fa a un matrimonio, ma Io sto con la sposa è prima di tutto un film, o meglio un docu-film, un atto di disobbedienza civile, un racconto che è e deve essere un pugno nello stomaco ben assestato, un moto rivoluzionario in quell’Europa che chiude le frontiere, che decide la serie A e i non classificati della cittadinanza, che costringe l’espressione il Mar Mediterraneo è diventato un cimitero a un inarrestabile svuotamento di senso.

Stanchi di contare i morti in mare, Antonio Augugliaro, Gabriele del Grande (che è stato a lungo in Siria per raccontare il conflitto) e Khaled Soliman Al Nassiry hanno deciso di aiutare i cinque siriani palestinesi in fuga dalla guerra a proseguire il loro viaggio clandestino; si sono improvvisati trafficanti ma di storie, di volti, di parole, di desideri. «Perché ventimila morti nel Mediterraneo sono abbastanza per dire basta» dicono «Non sono vittime del fato o della burrasca. Ma di leggi alle quali è arrivato il momento di disobbedire».

Io sto con la sposa è anche di più. E’ uno dei crowdfunding più riusciti: 98.151 euro in due mesi (l’obiettivo era 75mila euro per coprire i costi di produzione e post produzione, ma le persone hanno continuato a donare).

Ora il corteo nuziale ha il suo tappeto rosso: sarà al Festival di Venezia, in programma nella sezione Orizzonti. Con i protagonisti, i registi, la troupe, gli invitati, i 2541 sostenitori, tutti di diritto nei titoli di coda, forse i più lunghi della storia.

 

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