Cultura

Il corpo è un readymade

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Mostre A ViaFarini Docva di Milano, dialogano il footage di Alberto Grifi sugli ospedali italiani fascisti con le visioni dell'artista e filmmaker Francesco Bertocco

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 6 gennaio 2015

Immagini degli interni di una multinazionale farmaceutica e quelle di corpi afflitti da crisi epilettiche negli ospedali dell’Italia fascista. Immagini che dialogano nella doppia video-installazione che compone la personale di Francesco Bertocco a Viafarini Docva, fabbrica del Vapore di Milano. È Il preteso corpo, found footage girato in super8 nel Ventennio fascista, ritrovato e acquistato da Alberto Grifi in una bancarella del mercato di Sinigallia di Milano, presentato accanto a Allegoria, l’ultimo documentario dell’artista e filmmaker Francesco Bertocco, nato a Milano nel 1983.

Il footage, firmato da Grifi come readymade nel 1977, documenta la sperimentazione e gli effetti collaterali di un medicinale prodotto dalla casa farmaceutica La Roche su individui afflitti da disturbi psichici. Tra gli effetti collaterali vi erano crisi epilettiche, «tempeste» vascolari e convulsioni. Il film-saggio di Bertocco è suddiviso in tre parti: la prima mostra gli interni di una multinazionale farmaceutica, con una particolare attenzione all’estetica corporativa del luogo, commentata da un voice over femminile che indaga la creazione e la mitopoiesi di un corpo allegorico; la seconda presenta la messa in scena di una seduta di psicodramma, pratica analitica e educativa basata sulle teorie di Jacob Levy Moreno.
L’ultima è invece girata nei laboratori Nuzoo Robotics e in quelli di robotica del Politecnico di Milano, dove il corpo viene evocato in modo sottrattivo attraverso la presenza di un robot, surrogato dell’uomo, destinato ad accompagnarlo/sostituirlo in un futuro sempre meno remoto.

La mostra (visitabile fino al 23 gennaio) esibisce un’opera poco conosciuta della filmografia di uno dei maggiori esponenti del cinema sperimentale italiano. E forse non è un caso che questo footage ritrovato abbia interessato Grifi, autore che ha interpretato in modo unico gli slanci antagonisti degli anni ’60 e ’70 in Italia e non solo. Grifi ha ripetutamente riflettuto sulla riprogrammazione del corpo sociale, ricordiamo tra tutti il film La videopolizia psichiatrica contro i sedicenti nuclei di follia militante ovvero Dinni e la Normalina. Prodotto dalla Rai del 1978 e mai trasmesso in quanto censurato, presentava una trasmissione televisiva in cui si promuovevano gli effetti della farmaco anti-rivoluzionario Normalina al convegno di psichiatria a Milano. È interessante notare come una delle ultime tendenze individuate da giornalisti di moda e trendsetter contemporanei sia chiamata Normcore, (fusione di normal e hardcore) che indica banalità nel vestire, omologazione e apoteosi dell’industria del fast fashion. Una differenza sostanziale rispetto a quanto accadeva nei decenni precedenti quando erano le sottoculture urbane a determinare nuovi immaginari e stili. Grifi si è occupato anche della riprogrammazione del corpo della visione, attraverso l’ideazione di interventi rigenerativi sul supporto visivo. Anna, forse il suo film più conosciuto insieme a Parco Lambro, è stato girato in video e poi vidigrafato su pellicola per poterlo meglio conservare. Il film, come scrive Bruno di Marino, è un’opera rappresentativa della graduale sovrapposizione/sostituzione tra il «corpo del cinema» e «corpo del video», e del passaggio da un uso «estetico» a uno «politico» del cinema, in una continua messa in discussione della dialettica vero/falso, messa in scena/ registrazione del reale.

Bertocco individua in quella stessa dialettica una modalità per indagare l’ambito estetico e quello terapeutico. Per la sua prima mostra personale aveva «esposto» in una galleria d’arte una seduta di psicoanalisi di una famiglia, composta da una coppia e due bambine. Nello spazio espositivo aveva ricreato, nel modo più fedele possibile, la stanza di una clinica in cui si svolgono i focus group, le sedute di psicoanalisi familiare. Gli spettatori non potevano entrare, ma osservavano dall’esterno.

La ricerca di una circolarità epistemica tra prassi discorsive di carattere terapeutico e quelle di ordine estetico era iniziato diversi anni prima con la serie degli educational films, brevi filmati americani proiettati durante la guerra fredda in scuole e associazioni culturali, la cui funzione era educare i giovani con regole precauzionali in caso di emergenze, di pericoli o guerre. Prescrizioni che generavano un condizionamento comportamentale ed estetico.

Su quei footage Bertocco è intervenuto isolando alcuni elementi specifici, ripetendoli fino a stravolgerne il significato originario. Quello che intende sviluppare, spiega, è una «teoria del fruitore», dove accanto alla sempre più indagata e citata «coscienza mediale» (relativa al flusso informativo e mediatico a cui siamo continuamente sottoposti nella società contemporanea), vi è un ambito di studi in cui la prassi terapeutica sconfina con quella iconografica.

Visto che il corpo dell’uomo nell’epoca del capitalismo avanzato è diventato un prodotto astratto, artificiale, da riprogettare e supportare con pratiche discorsive di ordine medico, è sempre più urgente accompagnarlo nel suo percorso con un apparato visivo aderente a queste necessità, come accade nel lavoro di Harun Farocki, Lewis Baltz, Gustav Deutsch, Yervant Gianikian\Angela Ricci Lucchi, Walid Raad, autori che Bertocco sente particolarmente vicini.

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