Economia

Il coronavirus spinge la recessione: crollano borse e petrolio

Il coronavirus spinge la recessione: crollano borse e petrolioA Milano – LaPresse

Crisi Si fermano la domanda e l’offerta: per il capitalismo è un doppio choc. E le contraddizioni aumentano tanto più si rafforzano le politiche dell’emergenza. Il taglio dei tassi della Fed non ha frenato il crollo. Trump: «Wall Street si riprenderà». Attesa per le mosse della Bce, per ora l’unica certezza è lo smart working per i 3700 dipendenti

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 7 marzo 2020

Un venerdì nero ha chiuso un’altra settimana di crisi e ha preparato la scena della recessione globale. Le borse ieri sono crollate per il coronavirus: Parigi (-4,2%), Londra (-3,74%), Francoforte (-3,7%) o Milano (-3,8%). Il vento della recessione ha zavorrato il prezzo del petrolio: il West Texas Intermediate, l’indice usato per il mercato petrolifero Usa, ha ceduto l’8,5 % a 41,98 dollari; il Brent, usato per quello del Mare del Nord, è calato dell’8,84% a 45,57 dollari. Su questo esito ha pesato il fallimento del vertice Opec che potrebbe avere chiuso la cooperazione con la Russia in vigore dal 2016. L’Opec aveva proposto un taglio alla produzione di 1,5 milioni di barili al giorno. Mosca e gli altri produttori non sono stati disposti ad accettare queste misure. Il combinato disposto di questi fattori ha chiuso la settimana e ha avviato la mobilitazione di Stati, banche centrali e mercati per affrontare l’invasione del virus e immunizzarsi dalle conseguenze a catena che sta provocando.

E QUESTO È ACCADUTO mentre in Italia arrivavano due riscontri: il primo istituzionale dell’Istat che, nella nota mensile sull’andamento dell’economia a febbraio ha colto un forte elemento di instabilità e rallentamento, con un Pil negativo dello 0,3%. Dunque, prima della manifestazione massiccia del virus, erano arrivati ampi segnali di flessione, del resto già registrati nell’ultimo trimestre del 2019, e in particolare nella produzione industriale a dicembre. Chi ha parlato di vera e propria «recessione» ieri è stata l’agenzia di rating Moody’s che ha previsto una probabile contrazione del Pil dello Stato-impresa Italia nel primo trimestre del 2020 e, nella prospettiva di un’evoluzione del virus, ha aggiornato le stime di una crisi già esistente a meno 0,5% nel 2020. Fino a pochi giorni fa il governo aveva fissato la previsione a +0,6%, mentre tutte le istituzioni economiche locali e internazionali avevano abbassato l’asticella in una forbice compresa tra lo 0,2% e lo 0,3%. In caso di impatto prolungato del virus Covid 19, Moody’s stima un meno 0,7%. Tutto questo nella cornice di un aumento della possibilità di una «recessione globale»: la crescita calerebbe dal 2,4% all’1,4%.

IL GOVERNO ITALIANO è alle prese con una contraddizione: tanto più rafforza le politiche emergenziali di contenimento del rischio di contagio, tanto più blocca la domanda e l’offerta, le catene di approvvigionamento e il lavoro necessario per farle funzionare, la produzione e i consumi. Per questo si parla di un «doppio choc». Da parti diverse, il motore dell’accumulazione rallenta e tende a fermarsi. Accade come in guerra. La guerra del virus. L’esecutivo cerca di affrontare questa contraddizione chiedendo alla commissione Ue «la flessibilità del patto di stabilità e crescita e uno stimolo di bilancio coordinato» ha scritto il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri in una lettera. «Tale comunicazione è obbligatoria in base alla legge italiana, ma non richiede approvazione da parte della Commissione in questa fase» ha risposto Bruxelles. La strada è stata irrorata dai 7,5 miliardi di euro in deficit stanziati per l’emergenza. L’attesa è quella di piegare il patto di stabilità verso il lato più morbido. Ma sono in molti a pensare che dovrebbero essere stanziate cifre triple o quadruple in investimenti pubblici, modificando alla radice il «patto». Si presume che tanto più durerà la crisi, tanto più sarà messa in crisi la logica di questo patto. Ciò non toglie che la sua rigidità, a flessibilità concessa dalla Ue, possa peggiorare gli effetti della recessione. Un’altra contraddizione potrebbe così aggiungersi a quelle prodotte dalla quarantena del capitalismo.

DAL FRONTE delle banche centrali il taglio di 50 punti base dei tassi da parte della Federal Reserve Usa non ha convinto mercati e borse, con gli effetti visti ieri, inimmaginabili due settimane fa. La notizia dei 273 mila posti di lavoro in più a febbraio negli Usa, con una disoccupazione ai minimi degli ultimi 50 anni al 3,5%, non è servita a alleviare il panico creato dalla crisi da virus. Anche in questo caso i dati del mercato del lavoro potrebbero cambiare. Le prossime rilevazioni potrebbero fotografare i primi scossoni prodotti dalla crisi in atto. Fra marzo e aprile la Fed potrebbe tagliare il costo del denaro di altri 25 punti. Sono in molti tuttavia a ritenere che le politiche monetarie avranno un effetto limitato, ma per Trump «Wall Street si riprenderà». In tutt’altra situazione rispetto agli americani si trova la Bce. La presidente Christine Lagarde si è detta pronta ad agire. Ieri si parlava di un taglio dei tassi la prossima settimana. Quello che è certo è lo smart working per i 3.700 dipendenti della Bce per assicurare la funzionalità dell’istituto nel caso di epidemia. Garantire il sistema, anche nello scenario peggiore.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento