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Il Covid spinge Israele e Hamas verso scambio prigionieri

Il Covid spinge Israele e Hamas verso scambio prigionieriPrigionieri di Hamas in un carcere israeliano – AP

Gaza La pandemia sembra aver smussato le posizioni più rigide di Netanyahu e del movimento islamico. Possibile una trattativa per il rilascio di detenuti palestinesi in cambio di due israeliani prigionieri a Gaza e dei corpi di due soldati

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 10 aprile 2020
Michele GiorgioGERUSALEMME

«Non c’è al momento una trattativa, siamo in una fase preliminare, però abbastanza concreta». Il giornalista di Gaza Aziz Kahlout commenta così le notizie secondo le quali l’emergenza coronavirus potrebbe favorire uno nuovo scambio di prigionieri fra Hamas e Israele, a nove anni di distanza dalla scarcerazione di mille detenuti politici palestinesi, quasi tutti dirigenti e militanti del movimento islamico, approvata dal premier di destra Benyamin Netanyahu in cambio della liberazione del soldato israeliano Ghilad Shalit catturato a Gaza nel 2006. «È una storia complessa – spiega Kahlout – le condizioni create dalla pandemia sembrano aver reso più duttili le posizioni di Israele che dopo Shalit aveva escluso un altro scambio di prigionieri, e quelle di Hamas che per anni ha chiesto prima di ogni altra cosa il rilascio dei palestinesi liberati nello scambio del 2011 e arrestati di nuovo (da Israele). Ora le due parti avanzano idee meno rigide».

La diffusione del coronavirus in Israele (sono circa 10mila i contagi e 79 i decessi) e il rischio concreto che possa la Striscia di Gaza possa diventare un focolaio dell’epidemia, sono tra i motivi principali che hanno o avrebbero spinto il leader di Hamas, Yahya Sinwar, ad inviare una proposta ad Israele, tramite l’Egitto, con l’approvazione delle Brigate Ezzedin al Qassam, l’ala militare del movimento islamico. In una prima fase Hamas proporrebbe la liberazione di donne, minori e anziani palestinesi detenuti in Israele, per proteggerli dal coronavirus, in cambio di informazioni sui resti di due soldati morti nella guerra del 2014, Hadar Goldin e Oron Shaul. In più chiede che Israele faciliti l’ingresso a Gaza di macchinari, respiratori, letti e strumenti per la terapia intensiva che sono essenziali per assistere al meglio gli ammalati più gravi tra quelli colpiti dal Covid-19. Sino a ieri i contagi erano solo 13 ma le strutture sanitarie di Gaza sono precarie e poco equipaggiate. Mercoledì un portavoce del ministero della sanità ha comunicato l’impossibilità di eseguire nuovi tamponi per la mancanza nella Striscia dei kit per i test.

«Per ora Sinwar non fa riferimento ad Avera Mengistu e Hisham Sayed», precisa Aziz Kahlout riferendosi all’ebreo etiope e al beduino palestinese, entrambi cittadini israeliani ed entrati per errore a Gaza, che sono tenuti prigionieri da Hamas. «Sinwar procede un passo alla volta, convinto di dover ottenere qualcosa di molto rilevante da Israele ad ogni sua concessione», aggiunge il giornalista. Se il capo di Hamas a Gaza sia fatto i conti giusti è difficile dirlo. Sinwar evidentemente crede a quella che i palestinesi definiscono come «una finestra di opportunità».

In effetti Israele comincia a prendere in considerazione la trattativa. Martedì Netanyahu ha detto che il suo governo è pronto «ad azioni costruttive» per riportare in patria cittadini e resti dei soldati uccisi trattenuti a Gaza. Già nel 2009 Israele liberò 20 detenute palestinesi in cambio di un video di Gilad Shalit. E altrettanto il primo ministro potrebbe fare ora per ottenere notizie concrete dei due israeliani tenuti prigionieri a Gaza. D’altronde Netanyahu sa che Sinwar fa sul serio quando parla di trattativa ed è altrettanto serio quando minaccia Israele. «Se i nostri malati di coronavirus non potessero respirare (per la mancanza di attrezzature mediche causata dal blocco israeliano di Gaza, ndr) – ha avvertito qualche giorno fa il capo di Hamas – faremmo in modo che anche sei milioni di israeliani non possano respirare».

Sull’ipotetico scambio di prigionieri grava la crisi politica israeliana. A distanza di un anno dalle prime delle tre infruttuose elezioni tenute in 11 mesi, in Israele non c’è ancora un governo. Si è allontanato anche l’esecutivo di emergenza, con Netanyahu e il capo dell’opposizione Benny Gantz insieme, che pure sembrava cosa fatta a inizio settimana. E si riparla di nuove elezioni.

 

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