Viaggiando nel Mezzogiorno ci si imbatte spesso nelle città e, soprattutto nei paesi, in piccoli e grandi monumenti che ricordano i morti nella Prima guerra mondiale.

UNA MONTAGNA di giovani meridionali che hanno dato la loro vita per liberare Trento e Trieste, e che nell’era degli egoismi regionali abbiamo dimenticato. Viceversa, è quasi impossibile trovare un monumento che ricordi i caduti nella Seconda guerra mondiale, con qualche eccezione che riguarda morti e dispersi nella disastrosa campagna di Russia. Soprattutto, negli oltre tremila Comuni del Sud Italia troppo pochi sono ancora i monumenti che ricordino i meridionali caduti nella lotta contro il nazifascismo, ad eccezione di Napoli e di poche altre città. È incredibile come si sia potuto ignorare per tanto tempo il ruolo giocato dai giovani meridionali nella Resistenza, in ogni parte del Nord Italia.

Per questo è particolarmente prezioso il lavoro di Pino Ippolito Armino e di Maurizio Marzolla, Fino alla fine Comites! Meridionali nella Resistenza (Città del sole, pp. 64, euro 16). Sfogliando il libro e, soprattutto, guardando il documentario che è allegato con una pendrive, si incontrano i volti e le storie di tanti giovani meridionali, spesso figli di emigrati o che si trovavano al Nord perché arruolati nell’esercito italiano, che hanno lottato e sono caduti a fianco di altri giovani del Centro e Nord Italia.

ACCANTO A FIGURE già note come il siciliano Pompeo Colajanni che, contravvenendo all’ordine degli Alleati, guidò le brigate partigiane garibaldine, autonome e gielline alla liberazione di Torino e del pugliese Achille Pellizzari, divenuto prefetto del «Territorio Libero del Taro», una vera e propria repubblica partigiana nel cuore dell’Emilia; emergono nomi e volti ancora troppo poco conosciuti.

Si deve al sacrificio dell’abruzzese Sergio De Vitis, e di alcuni dei suoi uomini venuti da ogni parte d’Italia, una delle più rocambolesche e riuscite operazioni di guerriglia in Piemonte, l’assalto alla polveriera di Sagnano, in provincia di Torino. È calabrese, Saverio Papandrea di Monteleone, l’odierna Vibo Valentia, l’eroe di Forno Canavese. È lui che, immolando la propria vita, protegge la ritirata dei suoi compagni dal massiccio e imprevisto attacco di forze fatte confluire nel piccolo centro dall’esercito nazista. Sono sardi i due ardimentosi ex ufficiali del regio esercito, Piero Borrotzu e Franco Coni, che guidano la rivolta giellina in Lunigiana, la regione storica a cavallo fra l’Emilia, la Toscana e la Liguria. Borrotzu cade per salvare dalla rappresaglia gli abitanti di un piccolo centro dell’entroterra spezzino, Coni, nel dopoguerra, sarà fra i fondatori del Psiup. Queste e altre storie esemplari richiamano ciascuno di noi al dovere della memoria, con l’orgoglio di chi sa che il Mezzogiorno prese parte attiva per la rinascita dell’Italia dopo la cupa stagione fascista.

Nei quasi cinquanta minuti del docufilm – che sarà presentato per la prima volta alla Conferenza di Organizzazione del Mezzogiorno che l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia terrà a Paestum (Salerno) il 6 e 7 aprile – scorrono i visi, belli e carichi di energia, di questi ragazzi che continuano a guardarci e interrogarci: perché li abbiamo ignorati per tanto tempo? Questo straordinario lavoro di ricostruzione della memoria, condotto con il rigore scientifico che contraddistingue tutti i saggi di Pino Ippolito Armino, unitamente allo sguardo cinematografico del noto e apprezzato Maurizio Marzolla, andrebbe portato nelle scuole e utilizzato come riferimento prezioso nei libri di testo.

DATO CHE nelle ultime classi dei licei si parla della Seconda guerra mondiale è arrivato il tempo di dare il giusto rilievo al contributo dei giovani meridionali alla Resistenza. Così come è arrivato il tempo che nei Comuni del Mezzogiorno qualche sindaco si ricordi di questi concittadini dimenticati e gli dedichi un ricordo visibile, utilizzando proprio questo grande lavoro realizzato dagli autori di questo saggio e docufilm, dove potrà trovare tutti i riferimenti utili.