Cultura

Il consumo tra stato di necessità e teoria dei bisogni

Il consumo tra stato di necessità e teoria dei bisogni

Scaffale «Sinistra. La crisi di una cultura», di Massimo Ilardi per Manifestolibri che sarà presentato domani a Roma. Dopo avere condotto una strenua guerra ideologica contro la trasformazione in corso delle forme di vita e di produzione, la sinistra si è arroccata in una sfera etica, valoriale, umanistica, cui la sua lunga storia forniva in abbondanza gli elementi ideologici necessari. Ma non si tratta più di una dimensione politica, intendendo con questa la capacità di conferire forma e direzione a quanto effettivamente scorre nelle vene della società contemporanea. Un flusso sostanzialmente irrapresentabile e dunque radicalmente ostile a ogni pretesa di rappresentanza

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 21 novembre 2019

La sinistra esiste. La sua cultura non è affatto scomparsa. Ma la sua presa sulla realtà, la sua capacità di leggere il tempo presente sono andate quasi interamente perdute. Questa è in estrema sintesi la tesi che Massimo Ilardi sostiene nel suo Sinistra. La crisi di una cultura, (manifestolibri, pp.112, euro 10).

Vediamo perché. La fine della centralità del lavoro come fonte di identità, di diritti e di forza contrattuale (dunque anche come strumento di miglioramento della propria condizione), la scomparsa di gruppi sociali omogenei e relativamente stabili, l’attaccamento al presente come tempo privilegiato dell’azione e del desiderio e il conseguente tramonto di proiezioni teleologiche e visioni future, hanno corroso fino all’osso lo strumentario politico della sinistra. Quest’ultima, dopo avere condotto una strenua guerra ideologica contro la trasformazione in corso delle forme di vita e di produzione, si è arroccata in una sfera etica, valoriale, umanistica, cui la sua lunga storia forniva in abbondanza gli elementi ideologici necessari. Ma non si tratta più di una dimensione politica, intendendo con questa la capacità di conferire forma e direzione a quanto effettivamente scorre nelle vene della società contemporanea. Un flusso sostanzialmente irrapresentabile e dunque radicalmente ostile a ogni pretesa di rappresentanza.

IL FATTORE DINAMICO di questa circolazione, l’orizzonte che racchiude l’antropologia del presente è, secondo Ilardi, il consumo, inteso soprattutto, fuori da ogni logica di accumulazione e di possesso, come soddisfacimento immediato e distruttivo di desideri insofferenti verso ogni forma di limitazione. Non solo il consumo di merci e di oggetti, ma anche di esperienze, di maschere sociali di rappresentazioni, del proprio corpo e dell’ambiente che lo circonda. Il consumo, dunque, come dimensione molto più complessa di quella contemplata dai critici della «società dei consumi».

IL SOGGETTO CHE LO AGISCE è sì radicalmente individualista, ma ben diverso dall’«Unico» di Max Stirner che fa tutt’uno con la sua «proprietà» ed è alla fine una variante anarchica e arrabbiata dell’homo oeconomicus. Si muove, insomma, in un contesto non dissimile da quello che Rifkin definì diversi anni fa come «età dell’accesso», laddove non sono il possesso e la sua propensione cumulativa l’obiettivo da raggiungere, ma il potere (pur sempre mediato dal denaro) di attingere immediatamente alle risorse esistenti. A ben vedere questa idea di consumo stabilisce, fra l’altro, il primato del «valore d’uso» sul «valore di scambio» e rappresenta, come scrive l’autore, non la fascinazione per il superfluo ma un vero e proprio «stato di necessità», circostanza che la avvicina in qualche modo a una «teoria dei bisogni».

L’«accesso», tuttavia, nel mondo dominato dal mercato è ben protetto da guardiani, barriere e dispositivi di esclusione. Con i quali il desiderio di libertà dei singoli è destinato a scontrarsi duramente. E questo scontro si manifesta necessariamente come un’esperienza condivisa. Come assalto dei molti contro la sfera elitaria del privilegio e dell’esclusività garantita dalle regole del mercato e dalle gerarchie sociali. Ben presente, del resto, in una forma mistificata, che salvaguarda sempre e comunque il mercato, nella retorica messa in campo dai cosìddetti populismi.

In una siffatta dimensione conflittuale l’esercizio della libertà perde i suoi caratteri astratti e genericamente pulsionali a favore di una pratica concreta che si manifesta anche come forza produttiva, la quale non può essere confusa con il lavoro e men che meno con l’etica del sacrificio. Ma neanche cancellata in una prospettiva che diffida di ogni costruzione relazionale. E la stessa idea di eguaglianza, che Ilardi confina nel campo dei valori desueti, non si presenta qui come assetto moralmente desiderabile dell’organizzazione sociale, ma come principio di contestazione dei poteri dominanti, come potere destituente.

C’ENTRA ANCORA QUALCOSA la Sinistra con tutto questo? Per come oggi la conosciamo ben poco. Tuttavia, di fronte alla ferocia che ci circonda, la sua postura etica, laddove non si tratti di una messa in scena, esercita una comprensibile forza di attrazione. Per il resto sarebbero le antiche e dimenticate origini materialiste da rimettere al lavoro sulle «astrazioni concrete» del presente. Ma di queste nella cultura della Sinistra si è persa ogni traccia.

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La presentazione domani a Roma

Domani alle 16 al Macro Asilo di Roma , la presentazione del volume di Ilardi, e altri due editi da manifestolibri: Contro il populismo di sinistra di Éric Fassin; Dall’uguaglianza all’inclusione di Nicolò Bellanca. Intervengono: Ilardi, Bellanca, Michele Prospero, Angela Mauro, Giso Amendola. Modera Rino Genovese.

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