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Il conflitto dell’artista in forma breve, da Hoffmann a Byatt

Il conflitto dell’artista in forma breve, da Hoffmann a ByattGustave Courbet, «Le Désespéré», circa 1843-’45, collezione privata

Un'antologia Einaudi Le varie espressioni d’un genere topico della tradizione occidentale, studiato innanzitutto da Marcuse. Il baricentro ideologico è l’Ottocento romantico; nel contemporaneo, confini più sfuggenti: «Racconti di pittura degli ultimi due secoli»

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 27 novembre 2022

Sosteneva Herbert Marcuse che il «romanzo dell’artista» sarebbe l’antesignano del Bildungsorman, poiché mette in scena il confronto conflittuale tra un individuo d’eccezione e l’ordine costituito, le cui rigide maglie non consentono interpretazioni eccentriche o deviazioni impreviste: Il “romanzo dell’artista” nella letteratura tedesca (1978, basato sulla dissertazione di laurea del ’22) costituisce uno studio fondamentale della tradizione del Künstlerroman, un genere la cui longevità è testimoniata dalla presenza costante dell’artista, e molto più spesso del pittore, nell’immaginario occidentale, a partire dall’inizio dell’Ottocento e fino ai giorni nostri. Giorni in cui peraltro la sua fisionomia ha subito trasformazioni che la rendono a tratti sfuggente, ma sempre intrigante per i suoi significati simbolici e metaletterari.

Si dovrà dire che questo genere topico della tradizione occidentale nasce innanzitutto nelle forme brevi del racconto. E forse questa è la ragione che ha spinto Riccardo Falcinelli e Christian Delorenzo a raccogliere in un’antologia alcuni dei più significativi Racconti di pittura degli ultimi due secoli (Einaudi «Super», pp. 344, euro 14,00), offrendo al lettore una panoramica che mostra le oscillazioni contemporanee di una figura, quella del pittore, la cui leggenda – come già avevano notato Ernst Kris e Otto Kurz – è consolidata da luoghi comuni e aneddoti che compongono una specie di repertorio narrativo a cui nemmeno gli autori più avvertiti sfuggono.

Così, dalla Chiesa dei Gesuiti di G. di E.T.A. Hoffmann fino a Cristo in casa di Marta e Maria di Antonia S. Byatt, passando per Il capolavoro sconosciuto di Balzac, La madonna del futuro di Henry James e altri racconti, alcuni dei quali meno noti ma non meno interessanti come quelli di O. Henry, Deledda o Bradbury, vediamo ritornare e richiamarsi una serie di motivi che, intrecciati tra loro, rendono ragione della fortuna di questo tema nella cultura contemporanea.

L’Ottocento è il baricentro ideologico della raccolta, perché romantico (e prefotografico) è il mito del pittore come individuo di genio che si cimenta in una sfida impossibile: rifare il mondo su una tela, entrando in competizione con la Natura o, addirittura, con Dio. Nasce così il motivo dell’artista invasato, che può dipingere solo se toccato da un’ispirazione che condanna alla sofferenza e alla solitudine, come capita all’oscuro Bertoldo protagonista della Chiesa dei Gesuiti di G., oppure all’incomprensione da parte dei contemporanei, che non possono riconoscere ciò che egli ha «visto», come nel caso di Frenhofer, il cui «capolavoro sconosciuto» prefigurerebbe l’impressionismo o addirittura l’arte astratta.

È questo tratto che rende il pittore incapace di conciliarsi con i ritmi e le convenzioni della vita borghese, inadatto anche a godere dei privilegi della fama (il celebrato Keniston di Guarigione di Edith Warthon). Il ritmo della creazione artistica mal si concilia con quello utilitaristico della vita e così il Giona di Camus (Giona o L’artista al lavoro) consuma le proprie giornate tra colloqui con gli allievi, lettere di risposta agli amici, sottoscrizioni di petizioni politiche e incombenze domestiche, e non trova mai un momento «per cincischiare un po’, spensieratamente», ciò che darebbe fiato all’ispirazione creativa. E infatti, nel momento in cui decide che è giunto il momento di lavorare davvero, si deve isolare in un piccolo soppalco nella sua stanza per dedicarsi esclusivamente alla sua opera. Il cui significato, come spesso accade in questi racconti, rimane ambiguo, mentre molto chiara è l’origine della malattia che colpisce Giona e da cui non sappiamo se guarirà.

A condannare l’artista è l’ideale verso cui tende ogni sua creazione; un ideale intravisto fugacemente in un’espressione del viso impossibile da replicare (La storia di un pittore pazzo di Kim Dong-In) oppure vagheggiato nella bellezza dell’arte ma sempre negato dall’imperfezione dei corpi umani (Il vello d’oro di Gautier).

L’inconciliabilità tra ispirazione e realtà rende impossibile la vita di questi personaggi, al punto da fiaccarli nello spirito e nel corpo. Come sottolinea anche Falcinelli nella sua introduzione, follia, malattia e morte sono condizioni ricorrenti in questi racconti, esito inevitabile di un’ossessione che consuma i pittori, ma che talora penetra nelle loro opere, contagiando chi le osserva. È quello che gli studiosi hanno chiamato il «potere delle immagini», personificato in queste pagine da ritratti che rovinano la vita a chiunque li possegga (Il ritratto di Gogol’) oppure, secondo la più classica delle sostituzioni, che la sottraggono ai loro modelli, come succede alla vittima del Ritratto ovale di Poe (che fa da apripista a una declinazione orrorifica del racconto di pittura, evidente nel Modello di Pickman di Lovecraft).
Si può infine affermare senza tema di smentita che la tradizione dei racconti di pittura è prettamente maschile. Uomini sono la gran parte degli autori e anche le donne che si sono dedicate a questo genere – qui è il caso di Wharton, Deledda, Yourcenar e Byatt, ma si potrebbe citare una maestra italiana della Künstnovelle come Marisa Volpi – l’hanno fatto prevalentemente mettendo in scena dei pittori.

Molto a lungo le donne sono state confinate al ruolo di inerti muse, modelle costrette a una mortificante competizione con le loro controfigure pittoriche, capaci meglio di loro di attirare il desiderio dei loro amati. Stupisce quindi che il più diretto invito a sovvertire simili pregiudizi estetici e morali arrivi dalla novella di uno scrittore ancora intriso di inquietudini romantiche, come il Gautier del Vello d’oro, che si chiude sulle sorprendenti parole di una donna non rassegnata al proprio ruolo di ispiratrice.

Parole rimaste a lungo inascoltate, ma la cui eco arriva fino a noi, invitandoci ad abbandonare luoghi comuni e sommarie convinzioni sul genio artistico: «Ma ricorda, signore, che sono stata io a scoprire il prezioso diamante del tuo genio… io, la piccola Gretchen di via Kipdorp!».

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