Il compleanno, l’insondabile realtà tra follia e «normalità»
A teatro Peter Stein porta in scena uno dei primissimi testi mandati in palcoscenico da Harold Pinter
A teatro Peter Stein porta in scena uno dei primissimi testi mandati in palcoscenico da Harold Pinter
Con Il compleanno (dopo le repliche al teatro Massimo, questo fine settimana ancora al Sannazaro di Napoli e in tournée fino a marzo) tornano di nuovo insieme uno dei più grandi drammaturghi del ’900, Harold Pinter (Nobel per la letteratura 2005) e uno dei maggiori registi di questi decenni, Peter Stein. Per la verità è la seconda volta che la regia di uno abbia portato in scena un testo dell’altro: era già successo con Ritorno a casa qualche anno fa. Ma il peso specifico di entrambi ne fa in ogni caso un appuntamento importante. Il testo affrontato ora è uno dei primissimi mandati in palcoscenico dall’autore inglese, e al suo debutto non fu particolarmente gradito del pubblico, anzi quasi ignorato. Pinter avrebbe raccontato in seguito con un sorriso divertito quanto ironico che quando andò a controllare l’affluenza degli spettatori a una delle prime repliche, ne contò solo 6, e non particolarnmente entusiasti. In realtà quel titolo fu presto rivalutato, perché con grande forza e «plasticità» esprimeva la poetica mordente dello scrittore: l’assoluta impenetrabilità della vita di ognuno, tra il mistero e l’inspiegabilità di comportamenti, paure ed azioni, che ciascuno si può trovare ad affrontare.
COME CAPITA a quell’ospite della smandrappata locanda sulla costa inglese, un tipo che nulla rivela di sé, e che un giorno viene raggiunto da due «sconosciuti», forse sicari, e portato via con la forza dopo che la sera prima era stato «festeggiato»il suo compleanno, per iniziativa della petulante e invadentissima signora che col marito svagato gestisce il poco accogliente «albergo» sul mare.
Il compleanno, chissà se vero o inventato, diviene così una «cerimonia» sacrificale, di cui non conosceremo le cause ma solo gli sviluppi, ovvero il sequestro del malcapitato e la sua obbligata partenza con i due «killer», se tali sono quei due sbracati prepotenti. È l’insondabile quotidianità della vita ad imporsi, violenta e ignara quanto i comportamenti attorno a noi.
Spettacolo calibrato al millesimo, con ottimi attori come Alessandro Averone
PETER STEIN, grande maestro del realismo a teatro fin dai tempi (ma forse anche prima) dei trionfi con la Schaubuhne berlinese, dalla mitica Orestea ai testi di Botho Strauss, e poi ancora con altri titoli entrati nella leggenda, dalla meravigliosa trilogia di Cechov a Shakespeare a Goethe (un Faust leggendario con Bruno Ganz ad Hannover di ragguardevole durata) fino ai grandiosi Demoni da Dostoevskij realizzati in Italia. Anche con Pinter la sua «precisione» registica è perfetta. Realista e orchestrata da mostrare evidente la follia della «normalità». E così anche il suo mistero, vero o indotto, o anche semplicemente presunto.
Uno spettacolo quindi calibrato al millesimo, con attori ben allenati a lavorare col maestro, da Alessandro Averone, protagonista vittima della propria stessa vaghezza (o di qualche misterioso e colpevole trascorso) a Gianluigi Fogacci (uno dei due misteriosi killer), fino a Maddalena Crippa, che con la sua intraprendenza attoriale arriva a conferire un ruolo quasi protagonistico alla svagata tenutaria della pensione (caratterizzandola brillantemente, senza risparmiarle qualche gustosa inflessione brianzola).
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento