Visioni

Il combat pop dello Stato Sociale

Il combat pop dello Stato SocialeLo Stato Sociale – foto di Luca Reggiani

Incontri Il quintetto bolognese tra impegno e musica. Con l'ultimo lavoro L'Italia peggiore raccontano su una base musicale leggera, la disgregazione della società e il malcontento dei giovani. E di storie quelle di Cucchi e Aldovrandi e la strage di Bologna

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 10 dicembre 2014

Sembra una storia di un’altra epoca quella de Lo Stato Sociale, quintetto bolognese di stampo combat-pop che sta percorrendo in lungo e largo la penisola per presentare l’ultimo lavoro L’Italia Peggiore. Il nucleo fondante della band si conosce sui banchi di scuola e continua le sue esperienze tra gli studi dell’emittente felsinea Radio Città Fujiko e le sale prove, dove gettano le basi di quella che sarebbe poi divenuta la formazione attuale. Il fortunato esordio con Turisti Della Democrazia del 2012, gli ha permesso di balzare agli onori della cronaca costruendosi un nutrito seguito di fan che garantisce sistematicamente i sold-out ai concerti. Sul palco dimostrano di saper mescolare elementi elettronici con ballate voce e chitarra, e di sapersi muoversi grazie a una spiccata natura da entertainer. Nei loro show non manca mai una robusta e dissacrante dose d’ironia. Si balla e indubbiamente ci si diverte nei live set dove si respira pura goliardia, implicita nel genoma della band.

Lavorano molto perché sanno che il momento è giusto per fare il cosiddetto salto di qualità, come conferma uno dei membri della band, Alberto Guidetti: «Dopo Turisti Della Democrazia realizzato molto più istintivamente, con L’Italia Peggiore abbiamo lavorato in modo programmatico. La gestazione del disco è stata lunga: sei mesi in studio ed un anno e mezzo di preparazione e scelta del materiale. La qualità di quanto fatto secondo noi è salita.».L’età media del loro pubblico è under 25: «Il grosso della gente che vieni ai nostri live si concentra tra i diciotto ed i ventiquattro anni. Chi poi ci ascolta ed acquista i nostri dischi arriva probabilmente attorno ai trentacinque di media». Sano, robusto e frivolo pop. Dove – va sottolineato – i testi contano. E molto. Storie di malesseri generazionali si alternano a storie di ordinaria precarietà e disparità socialità specchio della nostra spesso terribile quotidianità.

Grazie a testi costruiti con metodo, Lo Stato Sociale ha trovato così il modo per parlare alle nuove generazioni, raccontando situazioni e emozioni oggettive: «Arriviamo da un passato adolescenziale e giovanile di appartenenza al movimento. Siamo stati attivi tra centri sociali, l’Onda e quanto di altro girava all’epoca. Abbiamo vissuto e continuiamo a vivere l’impegno a sinistra in quanto ci appartiene per storia, è una cosa che fa parte di noi. È normale quindi che queste esperienze confluiscano all’interno delle nostre canzoni e che la situazione del concerto sia quella in cui riusciamo a comunicare di più.».

L’esigenza di scrivere brani di protesta quindi è una spinta costante, quasi inesauribile, ed è proposta in versione contemporanea da Lo Stato Sociale: «Quando costruisci una canzone hai a disposizione quei quattro minuti circa in cui sintetizzare il messaggio senza risultare, banale, furbo e scontato. Esiste una necessità di arrivare direttamente a quello che devi dire con sincerità, si vive un’urgenza espressiva che viene mediata solamente da quelle che sono le nostre idee ed emozioni. Altrettanto accade quando poi le porti sul palco, dove non sei lì né a fare un comizio né una pagliacciata. Credo che le persone abbiano un grande potenziale emotivo e quando sei dal vivo cerchi di raccontare nel modo migliore per farti comprendere e entrare in empatia».

Durante le loro esibizioni raccontano di vicende come quelle di Cucchi e Aldrovandi: «Ogni concerto è come se fosse un giornale, ci guardiamo sempre attorno per avere ogni giorno uno spunto nuovo. Facendo tour molto lunghi abbiamo incrociato eventi e cose diverse da raccontare, e per questo non esiste un copione scritto delle nostre esibizioni. Certo ci sono dei punti fermi che ci appartengono molto, come appunto la vicenda di Cucchi e Aldrovandi, e ancora di recente il social strike contro il Job’s Act. E poi quando possiamo non ci tiriamo indietro cercando di partecipare, come è stato di recente per la manifestazione No Tav per il Terzo Valico ad Alessandria e ancora per il concerto «Musica per Federico» a Ferrara a fine estate, uno dei momenti più belli per noi.».

La vicinanza anagrafica tra i membri del gruppo e il suo pubblico è probabilmente il motivo principale che li lega: «Ci confrontiamo sempre con persone giovani che hanno un forte bisogno di riscatto, esattamente come lo avvertivamo noi qualche anno prima. Cerchiamo di tirare giù delle storie che speriamo siano interessanti. Ad esempio molti non conoscevano la vicenda di cui parla il brano Linea 30, la canzone dedicata alla Strage di Bologna del 2 agosto 1980». «È una canzone – rimarca ancora Alberto Guidetti – alla quale sono molto legato, in quanto è completamente autobiografica. Il conducente di quel tram era mio padre e prestò come tanti altri soccorso per ore e ore. Proprio in occasione dei nostri ultimi tre concerti bolognesi del 14, 15 e 16 novembre scorso, è salito sul palco con noi a raccontare la storia con la sua voce. È stato un momento importante non solo a livello personale, ma anche per il confronto generazionale col pubblico presente».

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