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Il colore di Cunardo

Il colore di CunardoCunardo, Giulia Bonora alle prese con la smaltatura di alcune tazzine – Annie Francisca

Storie Una visita alle fornaci del paesino nel varesotto dove gli ultimi artigiani modellano terracotte e utensili nella tipica, e preziosa, tonalità di blu

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 17 giugno 2021

Cunardo è un paese di duemila abitanti incastonato tra quattro valli, oltre il Parco regionale del Campo dei Fiori nel varesotto. Poco dopo aver oltrepassato il centro del paese, imboccata una stradina sterrata diretta alle fornaci, arrivo a due torri in pietra circondate da un casolare. Davanti ci sono una serie di sculture. Mi aspetta Giulia, una giovane artista del territorio che frequenta assiduamente le fornaci. Cunardo è celebre per la lavorazione della ceramica, che pare risalga al tempo dell’Imperatore Tiberio. Nella seconda metà dell’800 qui si contavano quattro fabbriche per la produzione di ceramiche nelle quali veniva prodotta una tonalità di blu di cui solo i maestri cunardesi conoscevano i segreti e i cui pezzi rappresentano tuttora una rarità.

LE FORNACI IBIS FINO AGLI ANNI TRENTA erano adibite alla produzione di calce. Solo negli anni Cinquanta la famiglia Robustelli le comprò e le trasformò in un laboratorio artigianale per la produzione di ceramica. «Fu un caso che il laboratorio nacque in questo luogo, avevamo bisogno di parecchia energia per i forni e la cabina elettrica si trovava proprio qui a fianco», racconta Giorgio Robustelli, artista ceramista classe 1943 che ancora oggi porta avanti la tradizione di famiglia. Intorno agli anni Sessanta, insieme agli artisti varesini quali Vittore Frattini, Gottardo Ortelli e Nino

Cassani, fondò l’associazione CunArt e le fornaci si trasformarono in un centro culturale. «Da tutta Europa giungevano poeti, artisti, pittori e scultori. Io non so né come né perché ma qualcosa lì portava qui. Nessuno di loro era un ceramista, io li definivo ceramisti prestati. Insegnavo loro la tecnica della lavorazione, mostravo i materiali e li consigliavo», racconta Giorgio.

DICE CHE NON E’ TANTO LA STORIA DI UN LUOGO a renderlo importante, bensì le storie di chi lo ha vissuto: «Una mattina giunsero due persone, un uomo e una donna, erano tedeschi, lui parlava poco, camminavano e si guardavano in giro. Tornarono anche il giorno seguente, la donna iniziò a parlarmi e mi disse che il marito dipingeva, per me non voleva dire niente, risposi che anche gli imbianchini dipingono. Iniziammo a conoscerci, era Emil Schumacher, esponente dell’espressionismo astratto tedesco. Rimase a Cunardo per diversi mesi, lavoravamo insieme, mentre la moglie leggeva un libro seduta sui gradini».

LE FORNACI DIVENTARONO COSÌ RESIDENZA d’Artista, permettendo l’interazione tra culture, tradizioni e scuole di pensiero differenti. Molti furono i beneficiari di questo luogo immerso nel verde delle montagne cunardesi, che ancora oggi porta le firme di artisti come Lucio Fontana, Renato Guttuso, Nes Lerpa. «Ricordo che dal nord Europa arrivavano furgoni Volkswagen attrezzati, parcheggiavano nel piazzale vicino al bosco e passavano qua intere settimane. Si trattava di giovani artisti vagabondi. La rete culturale che venne a costruirsi costituiva un tesoro, un patrimonio immenso. Questo scambio culturale permetteva la nascita di diverse situazioni che progredivano nel tempo, consolidandosi e andando a formare ulteriori situazioni a cui gli artisti attingevano nel loro percorso creativo. La cosa funzionava. Ora non funziona più», prosegue.

FINO AL 2001 GIORGIO TENEVA DEI CORSI di formazione finanziati dalla comunità europea per far progredire l’arte artigianale insegnando il mestiere di ceramista. Negli anni successivi vennero sostituiti da corsi nei quali gli studenti apprendevano le funzioni base degli elaboratori elettronici. L’avvento del computer e la rapida progressione dell’era digitale ha comportato un radicale cambiamento sia nel mercato dell’arte che nella sua concezione. «Si è persa la magia dell’incontrarsi», dice Giorgio mentre con la mano afferra un ciocco di legno per alimentare la stufa alle sue spalle. I nuovi media hanno interferito con l’arte conferendo agli artisti nuove possibilità di espressione, alla portata di tutti.

È quasi sera, dalla finestra davanti al forno entra una luce fioca che illumina i piatti colorati appesi alle pareti. Giulia aspetta che la temperatura del forno si abbassi, prima di andare a casa vuole vedere come sono venuti i suoi lavori. Spiega le varie fasi di cottura, la funzione degli smalti e della cristallina. La sua voce è sottile e acuta. Attraversiamo le varie stanze che compongono l’edificio, scaffali colmi di sacchetti di polveri colorate si alternano a mensole cariche di piatti, pentole e bicchieri di ceramica. Ci fermiamo nell’ultima stanza. Prende una ciotola piena di un liquido denso azzurro, e con precisione ci immerge dentro alcune tazzine: non appena il liquido si sarà asciugato saranno pronte per essere cotte.

ABITA A CUNARDO, VIENE QUI OGNI GIORNO e sotto gli esperti consigli di Giorgio lavora, sperimenta e crea. Frequenta l’Accademia di Belle Arti, ma dice che ha imparato molto di più in questo posto: «Giorgio mi ha permesso di avvicinarmi al suo mondo, mi ha insegnato a fare i piatti, a forgiare. Mi ha fatto sempre sperimentare molto, secondo lui l’unico modo per apprendere davvero qualcosa è sbagliando. Grazie a lui ho imparato l’arte della ceramica». Ha restaurato una delle stanze e ne ha ricavato un laboratorio. Il suo sogno è portare avanti le fornaci perché «la ceramica offre così tante diverse modalità di rappresentazione che tu potresti anche decidere di costruirti una casa con essa».

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