Il titolo L’acquario di quello che manca rimanda al libro di Enrico Ghezzi da poco uscito per la Nave di Teseo (a cura di Aura Ghezzi e Alberto Pezzotta con un’introduzione di Elisabetta Sgarbi e Aura Ghezzi), una raccolta di scritti, articoli, poesie, ricordi, lettere private, riflessioni, alcuni editi altri inediti che insieme parlano in modo «obliquo» di cinema, di televisione, di cinquant’anni di cultura e al tempo stesso compongono un racconto (fluidissimo) del pensiero del suo autore. È un po’ seguendo questa apparente casualità che Fuori orario, il programma da lui ideato gli dedica tre notti, la prima domenica 26 giugno, il giorno del suo compleanno, settant’anni – e poi l’1 e il 2 luglio sempre su Raitre.
Ci sono moltissimi materiali in queste notti mai lineari, che viaggiano nel tempo, nello spazio dell’immaginario, e che ci narrano una storia del cinema poco istituzionale e anche un po’ «segreta», controcampo di quanto il libro ci svela eppure forma unica, singolare, altro e altrove. Ma non è sempre stata questa anche la scommessa di Fuori orario, e la sua preziosa guida, mostrare cioè come muoversi «fuori sincrono» tra le immagini cogliendone le affinità e gli stridori, la bellezza e la sfida, la politica e il desiderio? Che poi non si trattava solo (e era già moltissimo) di portare in tv (nella Rai) autori e film che mai ci sarebbero arrivati; era soprattutto una questione di forma, come venivano proposti in quelle notti insonni, inquiete, cinefile – «Because the night» – da cui generazioni di giovani hanno scoperto il cinema nell’epoca delle condivisioni e in quella delle visioni più solitarie quando i luoghi pubblici, festival a parte si erano contratti.

IL PRIMO capitolo (dalle 02.15 alle 06.00 del 26) si chiama Dialoghi. Che vanno da quello di Arcobaleno-Humouda (1981), un’intervista di Ghezzi a Angelo Humouda, il fondatore della Cineteca Griffith a Genova, riferimento da subito per Ghezzi, Marco Giusti, Teo Mora e gli altri che – come lo stesso Ghezzi scriveva nel suo ricordo quando Humouda è morto su questo giornale (30/04/1994) volevano «fare (riviste di ) cinema (che fu poi il Falcone Maltese), nutriti quasi sofisticati dalla più straordinaria cinefilia italiana e forse europea». Humouda era nato a Haifa in Palestina e a Genova aveva fondato nel 1973 la prima Cineteca itinerante d’Europa. E poi? Nel 1984 insieme a Marco Giusti Ghezzi intervistava Angelo Francesco Lavagnino (Arcobaleno – Angelo Francesco Lavagnino) compositore per centinaia di film che ha lavorato tra gli altri con Ray, Leone, Welles.
Eccoci invece anni dopo, già nei duemila (2005) nella casa trasteverina di Bertolucci, regista innamorato del cinema con cui si poteva parlare ore di un film o persino di una singola inquadratura. Tra amore e amicizia – il titolo della conversazione, con la regia di Alberto Tempi è stato realizzato prima della consegna al regista del premio Marco Melani a San Giovanni Valdarno
Con Ronconi, Bela Tarr, Cipriì e Maresco, Naderi, Olmi, Kiarostami si discute a partire dall’attentato delle Torri gemelle nel 2001 a New York (Fuori orario: Parola (su una) data, 2002-2006. E nelle altre notti appaiono Qui e là a giocare (1980) – una delle prime «cose» realizzate da Ghezzi quando lavorava alla sede Rai di Genova: un montaggio dedicato al gioco, dal casinò agli stadi agli uffici Rai – Il titolo del secondo capitolo è Il grande giocatore.
C’è un incontro con Aura Ghezzi e ci sono i frammenti delle Olimpiadi di Sidney nel 2000, tra le lunghe ore di volo e la corsa dei 100 metri. E c’è la «memoria» di Fuori orario, quando andava in diretta da Milano – per una notte intera – presentato da David Riondino col sottotitolo – Non è mai troppo tardi (era il 1988)

TRA I FESTIVAL ideati da Ghezzi ritroviamo la Taormina degli anni Novanta, esperienza di cinema vitale e vissuta intensamente, e l’invenzione del Vento del cinema tra Lipari e Procida, ideato come un insieme di session di registi, filosofi, studiosi e spettatori che provava in ogni passaggio a ridefinire il modo di guardare (pensare?) le immagini. Si chiude con L’aquarium et la nation di Jean Marie Straub (2015) una corrispondenza e un gesto magnifico d’amore (e di cinema).