L’etimologia della parola tempo si ricollega al greco temno (divido, separo), riconducibile alla radice indoeuropea tem (taglio, sezione).
Secondo Agostino d’Ippona, vissuto tra il IV e il V secolo d.C., il tempo è stato creato da Dio assieme all’Universo, ma la sua natura resta profondamente misteriosa: «Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so».

Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche il tempo è solo apparente, non esiste di per sé, è legato alla soggettività umana. Con la teoria della relatività di Einstein e, soprattutto, con gli sviluppi della fisica quantistica, non solo il tempo ma anche lo spazio e la materia stessa diventano sempre più evanescenti e legati a doppio filo alla coscienza umana, altra «entità» tutta da definire.

Con I due volti del tempo- Su caso e sincronicità (Stamperia del Valentino, euro 14) Alessandro Orlandi, matematico, museologo, editore e musicista, viaggia attraverso i secoli, le filosofie, le religioni, la scienza, ripercorrendo l’opposizione tra i sostenitori del «nulla avviene per caso» e quelli per cui «è solo una coincidenza».

Come quasi tutti hai sicuramente sperimentato casi di sincronicità…
Nel libro ne ho raccontati alcuni. Tanti anni fa, quando eravamo borsisti a Pisa, a me e a un mio amico avevano dato un problema difficile da risolvere. Per un anno ci siamo arrovellati senza cavare un ragno dal buco, poi un giorno – stavamo nella biblioteca della Normale di Pisa, abbastanza disperati – io ho sbattuto una mano contro uno scaffale dicendo : «non ce la faremo mai!» e sul «mai» è cascato un grosso libro dall’ultimo scaffale. Si è aperto su un articolo di quattro pagine di un matematico danese che conteneva tutte le risposte al nodo che ci teneva fermi da un anno. Nel libro racconto anche di una amica particolarmente aggressiva che voleva fare con me un viaggio in Amazzonia, paracadutandoci sull’Orinoco con un kit di sopravvivenza e risalendolo in canoa. Io già mi vedevo nello stomaco di una anaconda, e avevo anche paura dell’aereo, ma non gli avevo mai dato apertamente una risposta. Un giorno mi ha messo alle strette: «allora è un sì o un no, mi devi dare una risposta definitiva!». In quell’istante dall’altra parte del salotto si è accesa da sola la televisione, a tutto volume, con un film dove c’era un investigatore che esclamò con voce stentorea: «io se fossi in te non ci andrei!». Subito dopo la televisione si è rispenta.

Che ne dicono filosofi e scienziati?
Due fenomeni vengono detti sincronici quando non c’è un rapporto di causa ed effetto tra i due che si possa stabilire, però agli occhi di chi li percepisce hanno una pregnanza simbolica, un forte significato per una risonanza tra un fenomeno interiore e una cosa che avviene all’esterno, come nel caso dei due episodi che ho raccontato. Jung e Pauli, psicanalista il primo e fisico l’altro, hanno analizzato assieme la sincronicità. Per inciso Pauli è stato anche un paziente di Jung. Uno muoveva dalla psicanalisi e dalle ragioni dell’anima e cercava una veste scientifica alle sue teorie, l’altro muoveva dall’empireo astratto della fisica e cercava le ragioni dell’anima. Si sono incontrati a metà strada e hanno formulato questo principio di sincronicità.

Il mio libro spazia tra la storia delle religioni, la divinazione, la fisica e la storia della scienza. Questa idea di sicronicità è antica quanto l’uomo. In tutte le civiltà in cui esista una nozione di sacro, una percezione che ci sia qualcosa di invisibile al di là di quello che i sensi ci mostrano, c’è una cotrapposizione tra un tempo dell’accadere quotidiano, della vita di tutti i giorni, che comincia con la nostra nascita e finisce con la nostra morte, e un tempo che potremmo definire il tempo degli dei, dei cicli cosmici.

Nell’induismo si misura in milioni di anni. Vishnu quando vuole iniziare qualcuno lo rapisce e gli fa vivere nello spazio di un battito di ciglia una intera vita, dalla nascita alla morte, in cui si affeziona ai suoi familiari, diventa adulto, si sposa, ha dei figli, invecchia, muore e a quel punto Vishnu lo «risveglia» e gli fa vedere che è passato solo un battito di ciglia. Nell’attrito tra il grande tempo e quello dell’accadere quotidiano c’è la sincronicità, termine che viene dal greco sincronos, che è appunto l’incontro tra il tempo degli dei e quello degli uomini. C’è uno sprazzo, un evento che ci mostra che c’è qualcosa al di là del nostro accadere quotidiano ed è una occasione che possiamo forse afferrare al volo per mutare il corso delle nostre vite se comprendiamo il senso di questo evento sincronico.

Nel libro citi una frase di Seneca: «La differenza tra noi e gli etruschi è questa: noi riteniamo che i fulmini scocchino in seguito all’urto delle nubi; essi credono che le nubi si urtino per far scoccare i fulmini…». Questa contrapposizione tra romani ed etruschi si è trascinata fino ai nostri giorni…
Tutte e due le polarità nascondono un abisso. Il riduzionismo scientista, con tutti i meriti che la scienza ha, nasconde l’abisso di ridurre a poco, a nulla il senso di ciò che ci accade, di perdere completamente il senso del sacro e del mistero delle nostre vite. Dall’altra parte c’è il rischio della superstizione, o vedere in ogni cosa che accade un segno di cose arcane. Potenziando troppo questo aspetto si finisce facilmente in manicomio.

Dai tempi di Descartes e Newton il riduzionismo ha dominato quasi incontrastato, ma da qualche tempo pare sempre più inadeguato

Soprattutto dopo che la fisica ci indica che questa separazione rigida tra un io senziente e un mondo fuori di noi è artificiosa. Il principio di indeterminazione di Heisenberg mostra che se vogliamo misurare simultaneamente la velocità e la posizione di una particella, se andiamo a misurare una delle due il nostro osservare perturba il fenomeno, per cui c’è un intervallo di indeterminazione sull’altra grandezza. E quindi c’è una interazione continua tra noi e il mondo che ci impedisce di considerarci come una sorta di cerchio magico separato dal resto, di un io senziente e di un mondo che è altro da noi. Questa separazione che nasce con il cogito ergo sum cartesiano va rivista.

Va bene il rigore, va bene il controllo scrupoloso delle fonti a cui si attinge e il dare a Cesare quel che è di Cesare, cioè al metodo scientifico tutta l’importanza che merita. Ma le armi del riduzionista non servono a nulla quando ci si chiede cosa siano la mente e la coscienza, in che modo interagiscono con la materia, se qualcosa ci sopravvive dopo la morte. Il meccanicismo settecentesco, di cui Laplace fu il massimo esponente, ha condotto nell’800 psicologi come Secenov a ritenere che mente e coscienza non siano che riflessi strutturati di stimoli esterni. Che non esista nulla come mente e coscienza, se non come «callosità» formatesi sotto l’azione dell’esperienza, reazioni automatiche agli stimoli, come avviene per la salivazione nei cani di Pavlov. Il meccanicismo ha poi condotto al materialismo riduzionista, che reinterpreta qualsiasi fenomeno psichico alla luce di soggiacenti processi chimici e ha prodotto psicologi che curano i disturbi psichici solo con i farmaci.
Al contrario, Jung ha sostenuto che tra l’interno e l’esterno dell’uomo c’è il tipo di rapporto che sussiste tra una trasmittente radio e l’apparecchio ricevente, ove sia l’interno che l’esterno giocano entrambi i ruoli. I simboli, le immagini archetipiche, secondo Jung hanno una natura sovraindividuale.

Questa visione dei rapporti tra spirito e materia ha condotto Jung, grazie al suo rapporto con Pauli, a postulare, accanto al princìpio di causalità, il princìpio di sincronicità, come «risonanza» tra gli eventi interiori e quelli esteriori. La difficoltà della visione junghiana sta nel problema di inserire l’idea di archetipo nel nostro inventario cognitivo. Che natura hanno gli archetipi? In quale spazio sussistono? Hanno un’essenza «spirituale»? Come verificarne l’esistenza? Possono essere solo esperiti in istanti carismatici e irripetibili? Non hanno quindi le caratteristiche di riproducibilità che ne farebbero oggetti di interesse scientifico?

Da parte sua Wolfgang Pauli ha cercato di spiegare il dualismo psiche/materia utilizzando il princìpio fisico di complementarietà come metafora: le particelle elementari manifestano, a seconda dell’esperimento ideato e dei sistemi di misura adottati, una natura corpuscolare, oppure una natura ondulatoria, si rivelano cioè alternativamente come corpuscoli oppure come onde. Quando un elettrone urta un’altra particella, si comporta come un microscopico proiettile, ma quando viene inviato contro uno schermo dotato di due fori produce modelli di interferenza tipici di quando si incontrano due fronti d’onda. L’elettrone mostra di avere quindi, a seconda dei casi, una natura corpuscolare o una natura ondulatoria.

Pauli scrisse: «Il problema generale della relazione tra mente e corpo, tra mondo interno e mondo esterno, non è certo stato risolto con il concetto di parallelismo psicofisico postulato nel secolo scorso. La scienza moderna ci ha offerto la possibilità di capire meglio tale relazione, introducendo il concetto di complementarietà nella fisica stessa. Sarebbe la soluzione più soddisfacente se mente e corpo potessero essere considerati come aspetti complementari della stessa realtà».

Il filosofo inglese Bertrand Russell propose nella sua Storia della filosofia occidentale un arguto gioco di parole sul dilemma di cosa siano mente e materia: «What is Matter? – Never Mind. What is Mind? – It doesn’t Matter».

Questo tuo libro non è solo una riflessione filosofica …
Il nostro rapporto col tempo determina anche il senso della nostra vita. Esso dipende dal punto mediano che scegliamo tra le due polarità del tempo prosaico e del tempo sacro. Se annulliamo uno dei due o perdiamo le radici con la Terra e come Icaro siamo destinati a precipitare e farci male, oppure siamo troppo radicati in quello che il cristianesimo chiamerebbe la spinta satanica, troppo radicati nei minuti fatti e riduciamo tutto alla corazza interpretativa che ci siamo costruiti, e quindi diventiamo impermeabili a una trasformazione e anche alla percezione di quali terribili pericoli la Terra sta correndo.

Diversi capitoli sono dedicati alla magia, ai tarocchi, all’ I Ching…
Prendo in esame tre sistemi divinatori, l’astrologia, i tarocchi e l’I Ching. In tutte e tre le forme di divinazione come in altre, penso alle rune, è fondamentale il principio di sincronicità. Nell’ I Ching si gettano steli di millefoglie, in tempi antichissimi si osservavano i graffi sui gusci delle tartarughe, oggi si gettano per sei volte tre monete e la configurazione che viene in risposta alla nostra domanda, nella filosofia del libro, è sincronica alla situazione che ci circonda, entrambe vibrano di uno stesso simbolismo e quindi quella configurazione ci parla e ci dice come dovremmo comportarci. Questo «come dovremmo comportarci» è interessante perché non è un «dovremmo» morale, ma è come se l’universo suonasse una partitura e quello che l’I Ching definisce il nobile è colui che sa ascoltare questa partitura e sa muoversi a tempo con essa. L’ignobile è colui che non ha orecchio musicale e che si muove in controtempo rispetto all’universo. Il fenomeno sincronico è quello che ci riporta alla partitura quando stiamo andando fuori tempo.

Quello che vale per l’I Ching vale anche per i tarocchi, le carte…nell’astrologia la disposizione degli astri nel cielo alla nascita di una persona, o quelli che si chiamano i transiti in un dato momento della sua vita, sono sincroniche e qui c’è un discorso amplissimo che cerco di fare nel libro in maniera succinta se no avrei dovuto scrivere un trattato. Già Marsilio Ficino – e prima di lui gli astrologi dell’antichità – parlava del fatto che più che ai pianeti esterni bisogna guardare a un cielo interiore dell’uomo. Di questo Paracelso, potremmo dire l’inventore della medicina moderna, scriveva molto, e uno scrittore cristiano dei primi secoli, Origene, parla di un sole, di una luna, di pianeti e di stelle che sono interni all’uomo e che sono reali quanto quelli esterni. Questo risponde all’obiezione scientifica che con la precessione degli equinozi la posizione degli astri nel cielo non è più quella prevista da un oroscopo classico. Potremmo dire che l’astrologia è la proiezione sul cielo di un nostro cielo interiore e quindi è il linguaggio dei simboli a cui dobbiamo guardare più che a quello della scienza.

Sei il leader di una band musicale
Sì, si chiama Saturn Childrens, figli di Saturno, è il titolo del primo disco che ho pubblicato dopo molti anni. Sono 32 canzoni che mi ero tenuto in pancia come il dio greco Saturno che si tiene tutti i suoi figli in pancia finché non gli danno da mangiare una pietra e lui li dà alla luce vomitandoli.

È nata nel 2017. Io suono dal 1967, ho cominciato con la batteria, ho continuato col pianoforte poi sono passato alla chitarra acustica però oggi suono soprattutto il piano e la batteria. Ora stiamo registrando un nuovo album, si chiamerà The Mystic Haddock, il merluzzo mistico, perché i testi alludono all’invisibile ma sono semplici, come il merluzzo che è il pesce più popolare che ci sia. Diversi nostri videoclip stanno su youtube.

Come è composta la band?
Due chitarre elettriche, basso, batteria, io al pianoforte e alla voce con la cantante Laura Zara Lee.

La musica ha avuto una influenza nello scrivere questo libro?
Quando scrivo cerco di stabilire un ritmo. Come editore mi accorgo subito, quando qualcuno mi propone un libro, se questo ha dei tempi sbagliati. Ogni libro deve avere una sua musica, un suo ritmo.

Quando è nata La Lepre, la tua casa editrice?
Nel 2007, ma i primi libri li abbiamo pubblicati nel 2008. Si può visitare su internet andando a lalepreedizioni.com.

Come scegli i libri?
Un indizio sta nel nome stesso della casa editrice, Lepre Edizioni che si può leggere le predizioni. L’idea e il desiderio di fondare una casa editrice è nata, in tutti noi che la fondammo, ora siamo rimasti solo io e mio figlio, dal fatto che vedevamo quanto sia oggi difficile avere la sensazione di costruire insieme qualcosa e di proiettarsi insieme verso un futuro comune. Ognuno è preso dal suo destino personale. L’idea è stata da una parte di pubblicare libri che dessero una visione, degli strumenti per vedere ciò che si prepara per il futuro, e poi cercare non tanto idee futuribili quanto – anche nel passato molto lontano, rilette in altro modo – le chiavi per capire il futuro. L’esempio più estremo è che abbiamo pubblicato due nuove edizioni dell’Iliade e dell’Odissea, pietre miliari su cui si fonda la cultura letteraria dell’Occidente. In origine erano libri che venivano cantati per le strade e compresi da tutti. Se prendiamo le pur belle traduzioni di Vincenzo Monti e di altri, sono traduzioni colte che se uno le cantasse per strada molti non le capirebbero. Ci siamo dati la sfida di restituire la bellezza poetica attraverso la semplicità. Speriamo di esserci riusciti. Molti altri libri invece, i romanzi storici che sono la gran parte di ciò che pubblichiamo, o la riscoperta di personaggi dimenticati, si occupano di periodi in cui un mondo finisce e un altro ne comincia, come il passaggio tra la fine dell’impero d’Oriente e il Rinascimento, quello dal paganesimo al cristianesimo o la fine della civiltà contadina e l’inizio dell’era industriale. E questo perché c’è una forte risonanza con l’oggi, in cui abbiamo l’impressione che un mondo stia finendo e un altro ancora non sia cominciato. La cosa che accomuna le persone che vivono questi periodi è che non ci capiscono un tubo, i riferimenti che avevano non valgono più e quelli nuovi ancora non sono apparsi.