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Il ciclismo e il tifoso energumeno

Il ciclismo e il tifoso energumeno

Habemus Corpus Che tifo è quello che letteralmente se ne frega dell’incolumità del suo presunto beniamino?

Pubblicato circa un anno faEdizione del 25 luglio 2023

Da due giorni sono orfana del Tour de France versione maschile, per fortuna rimpiazzato da quello femminile in corso fino al 30 luglio. È stata un’edizione avvincente per il duello fra Jonas Vingegaard e Tadej Pagacar, per il percorso con salite e discese durissime, perché sono emersi tanti giovani talenti, per la velocità media folle (quasi 42 km l’ora), perché la maglia a pois, (degli scalatori) è tornata a un italiano, Giulio Ciccone, dopo 31 anni, per le cadute rovinose e i conseguenti ritiri, perché è stato l’ultimo Tour per tanti campioni (Peter Sagan, Mark Cavendish, Thibaut Pinot).
Il ciclismo su strada dei grandi Giri, anche se le bici sono sempre più performanti, anche se la preparazione atletica sfiora l’ingegneria fisiologica, continua a fondarsi su un elemento imprescindibile, la fatica di chi pedala. È una fatica che traspare dai corpi magrissimi, dai crampi traditori, dal sudore che cola come un dannato, dal fatto che chi cade si rialza e continua a pedalare nonostante cerotti e sangue rappreso, dalle bocche che bramano ossigeno dopo 180 chilometri e un arrivo su pendenze al 17 per cento.

Guardi la gara e ti immedesimi quando, come è successo in questa edizione, due (Enric Mas e Richard Carapaz) devono ritirarsi a metà della prima tappa perché sono caduti e fratturati e vedi gli occhi che diventano pozze di delusione per l’occasione perduta, per la preparazione buttata che significa, fra le altre cose, che non bevi una birra, non mangi un gelato per mesi.
Chi vede tutto questo, quando va ad assistere a una tappa o a un arrivo in salita dovrebbe come minimo portare rispetto. E invece… In questa edizione se ne sono viste di tutti i colori, fra il pubblico. Quelli travestiti da fungo, da Superman, da Batman, da papero, da banana che saltano come scimmioni fanno parte della coreografia. Ma quelli che si piazzano in mezzo alla strada fino all’ultimo secondo per fare una foto o un selfie o esporre un cartello con scritto «Alice, vuoi sposarmi?», quelli che sparano fumogeni colorati in faccia al corridore che arranca, quelli che gli danno una pacca sulla schiena, quelli che attraversano la strada pochi secondi prima che il ciclista arrivi, quelli che gli corrono accanto, magari tirandosi giù i pantaloni per mostrare il sedere, quelli che, esagitati fino al midollo, infilano l’asta di una bandiera nel manubrio di un corridore e lo fanno cadere, tutti questi tifosi, non sono veri appassionati di ciclismo. Se il ciclismo lo amassero davvero, e lo capissero, se ne starebbero a bordo strada a incitare e applaudire e gioire come hanno fatto le migliaia di fan di Pinot mentre percorreva le salite in cui è nato e vive.

Che tifo è quello che letteralmente se ne frega dell’incolumità del suo presunto beniamino? Perché vanno lì? Per vedere davvero una corsa o mettersi in mostra?
Gli organizzatori dei grandi Giri dicono che negli ultimi tempi il ciclismo ha molti più adepti e sempre più giovani, e di questo i corridori sono contenti, ma proprio perché andare in bicicletta può essere molto pericoloso serve un’educazione del tifo ciclistico. Intanto, si pensa di aumentare le barriere, anche se a volte non bastano nemmeno quelle, come è capitato in una tappa dell’ultimo Giro d’Italia dove un gruppo di persone che si era sporto troppo da una transenna per fotografare l’arrivo in volata ha urtato un gruppo di corridori e li ha fatti capitombolare. Sul terreno sono rimasti anche alcuni cellulari in frantumi, ma chi se ne importa di quelli, sono solo telefoni.

P.s. Habemus Corpus torna a settembre. Buon tutto.

mariangela.mianiti@gmail.com

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