Vertice, vertice! Lo chiedono, lo vogliono, lo invocano. Presto, prestissimo. «È necessario. Vanno fatte alcune riflessioni e non polemiche a mezzo stampa»: questa è Giorgia Meloni. «Salvini auspica che sia il più presto possibile: prima si prendono decisioni e si chiarisce e meglio è»: queste invece sono le classiche «fonti leghiste», cioè Salvini stesso. Strana situazione: a convocare il vertice devono essere loro, senza chiedere il permesso. Oltre alla coppia più litigiosa del mondo dovrebbe intervenire solo Silvio Berlusconi, ed essendo anche lui favorevolissimo al chiarimento non si vedono problemi. Ma allora perché il vertice non arriva, nessuno fissa appuntamenti?

La risposta è nel tono stesso adoperato dal leghista e dalla tricolore. Se al vertice ci arrivano con la disposizione d’animo aggressiva che palesano, finisce che invece di ricucire si accoltellano. Silvio, autonominatosi mediatore e federatore, ritiene che sia conveniente aspettare finché i pessimi umori non decantano ed evidentemente persino i duellanti concordano. Altrimenti l’indispensabile, necessario e urgentissimo summit, oltre a nominarlo, lo metterebbero in agenda.

I rancori da far sbollire sono tanti e le polemiche locali, anziché scemare, s’intensificano. Tosi va giù piatto e spiega che i suoi, pur di affossare Sboarina, a Verona hanno votato per il nemico ex romanista. Lollobrigida reclama le scuse della Lega per quello che i Fratelli considerano lo sgambetto leghista a Sboarina, che peraltro era candidato anche della Lega. La leader insiste perché Forza Italia chiarisca se concorda con Tosi, forzista dell’ultimissima ora, e per una volta non le si può dare torto.

Peraltro nel discorso pomeridiano, in apertura della riunione a Roma dell’eurogruppo dei conservatori Ecr, la tricolore, pur senza nominarlo mai, non ha risparmiato mazzate a Salvini parlando di Ucraina. Difficile infatti equivocare su chi siano i leader troppo tiepidamente schierati con la Nato. Quelli che «non si rendono conto del momento storico: ma questo è ammissibile per gli elettori non per i leader». Naturalmente ha parlato del suo partito «che era dato per spacciato dalla nascita e oggi s’impone come primo partito della nazione». E la coalizione? Non pervenuta.

Insomma, il rinvio del vertice è davvero prudente e nel lasso di tempo ancora indefinito di qui all’incontro Salvini avrà modo di fare almeno i primi conti all’interno della Lega. La struttura collegiale di direzione è un palliativo ma, nonostante l’irritazione del Veneto e di Giorgetti sia reale, il capitano non rischia di finire degradato e sostituito da Fedriga. Non fino alle elezioni almeno.

Resta da capire se rimandare il summit possa servire a «guardare avanti e non indietro», come chiede la leader di FdI. Tutto è possibile ma in questo caso anche improbabile. Meloni boccia, sia pur con formula cortese, il ruolo di regista-mediatore che Berlusconi vorrebbe assumere: «Tutti vorremmo essere federatori ma a me interessa la sostanza». Per federare, peraltro, ci vuole una forza che il Cavaliere aveva e non ha più, la possibilità di dispensare posti, soddisfare appetiti. Oggi il monarca di Arcore può offrire solo i suoi buoni consigli: non bastano a sanare guasti con radici strutturali. La competizione spietata e ormai piena di rancore tra i suoi due alleati. La voracità degli ufficiali di FdI, già nota dai tempi di An e già allora devastante.

Ma senza modifica della legge elettorale i tre andranno comunque insieme e sorella Giorgia ritiene di avere in mano tutti gli assi. Se vincerà reclamerà palazzo Chigi. Se la destra non vincerà si aprirà un percorso destinato a riportare Draghi a palazzo Chigi con la maggioranza di oggi, lasciando a lei il monopolio dell’opposizione. Un tipico quadro win-win. Ammesso che le cose vadano davvero così.