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Il catechismo di Le Corbusier

Il catechismo di Le CorbusierLa cappella progettata da Le Corbusier a Ronchamp

La cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp UN AVVENTUROSO CAPITOLO DELL’ARCHITETTURA MODERNISTA: LA CAPPELLA DI RONCHAMP IN UN LIBRO ILLUSTRATO JACA BOOK

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 11 gennaio 2015

«Ancora un casco a punta!»: fu bocciatura secca quella di Maurice Dubourg, arcivescovo di Besançon, davanti al progetto per la nuova cappella di Nôtre Dame du Haut a Ronchamp, da ricostruire dopo che la vecchia era stata ridotta in macerie dai bombardamenti alleati. Il progetto infatti era una replica standard delle chiese di queste zone, con i campanili che finivano immancabilmente con punta a cipolla. L’indicazione di Dubourg fu molto chiara: «Cercate un architetto». Il compito venne affidato a François Mathey, un ispettore generale dei monumenti storici, e a monsignor Lucien Ledeur, direttore del seminario di Besançon. Furono loro, dopo un anno di indagini, a osare di proporre il «sogno inconcepibile»: Le Corbusier. Sulla collina di Ronchamp pietre non ce n’erano e quindi ci voleva qualcuno che sapesse trattare con maestria e poesia il cemento. E chi meglio di colui che solo con il cemento aveva appena costruito il prototipo della Cité radieuse a Marsiglia? Il vescovo a sorpresa non batté ciglio. «Ebbene, cercàtelo» fu la sua risposta.
Iniziava così una delle più straordinarie avventure dell’architettura moderna. Un’avventura che, stando alle premesse, era da considerare impresa impossibile. Da parte sua Le Corbusier aveva sempre detto di non avere interesse a «lavorare per un’istituzione ormai morta». L’immediato precedente del progetto per una cattedrale sotterranea nella montagna di Sainte Baume era finito in nulla. Così quando il 29 marzo 1950 alle 9 del mattino i due delegati si presentarono in rue De Sevres, come prevedibile Le Corbusier si mostrò gentile ma irremovibile. Il sogno sembrava già svanito, ma, davanti alle dimissioni annunciate da Mathey, monsignor Dubourg autorizzò un secondo tentativo. L’appuntamento fu fissato domenica 30 aprile. «Ah, i tizi di Ronchamp!» fu l’esordio di Le Corbusier. Li fece entrare e poi – racconta Mathey – «non ci fu più niente da dire. Non c’era bisogno di convincerlo, era già convinto!». Chi aveva fatto cambiare idea a Le Corbusier era stato con ogni probabilità padre Marie-Alain Couturier, il domenicano di cui l’archietto aveva grande stima e che era stato ispiratore di un’altra avventura, allora in fase molto avanzata: la cappella di Vence, affidata a Henri Matisse. «Non abbiamo granché da darvi», dissero i due delegati a Le Corbusier: «ma ci permettiamo di pensare che la causa non sia persa in partenza e vi assicuriamo che vi sarà garantita una totale libertà di creazione».
Se uno dei capolavori dell’architettura del Novecento ha potuto vedere la luce è merito ovviamente di chi l’ha concepita, ma è anche frutto di una committenza intelligente, determinata e paziente. Bene hanno fatto perciò Maria Antonietta Crippa e Françoise Caussé, autrici di un volume corredato da magnifiche immagini (Le Corbusier, Ronchamp La cappella di Notre-Dame du Haut, Jaca Book, campagna fotografica Bamsphoto-Rodella, pp. 240, euro 70,00) a mettere al centro della loro ricerca la ricostruzione di questo complicatissimo intreccio che aveva visto coinvolte decine di persone, con un copione fitto di ogni tipo di imprevisti. Un copione che alla fine ha visto prevalere la convinzione e l’intelligenza di quel manipolo di temerari che avevano dato il là all’avventura di Ronchamp.
«Temerarietà» è in effetti la parola che meglio definisce la vicenda della cappella. Nella ricostruzione fatta in questo libro la incontriamo prima sulla bocca di monsignor Dubourg («In un’epoca in cui l’arte si cerca, occorre avere il coraggio di esaminare con un occhio favorevole certe novità, e non temere di fare esperienze, dovessero pure sembrare temerarie», scrisse il presule in una lettera pubblicata nel 1952 da «L’Art Sacré», la rivista diretta da padre Couturier); ritroviamo poi la stessa parola nel breve discorso che Le Corbusier tenne il 25 giugno 1955 in occasione della benedizione della cappella: «Eccellenza io vi consegno questa cappella di semplice cemento, plasmata forse di temerarietà».
Artista e committente sapevano di giocare una partita a rischio, che anche dal punto di vista economico si rivela presto molto impegnativa. Le Corbusier capisce che per mettere a fuoco il progetto deve approfondire le ragioni di ogni anche più piccolo elemento previsto nell’edificio. All’inizio, un po’ stizzito, si era messo di traverso, temendo che volessero fargli «lezioni di catechismo». Poi l’intelligenza pacata di Lucien Ledeur lo persuase della grande utilità di quei dialoghi, che si protrassero per sei mesi con appuntamenti di interi pomeriggi. Alla fine Le Corbusier definirà Ledeur «l’incitatore, colui che suggerisce, convince, che è determinante».
Sul côté ecclesiale invece i problemi arrivarono da Roma, dove il Sant’Uffizio, allora presieduto dal cardinal Giuseppe Pizzardo, aveva mandato una perentoria richiesta di chiarimenti riguardo alla scelta di affidare la cappella a un architetto definito «materialista». Ma Dubourg tenne duro, e di più ancora fece monsignor Béjot che prese il suo posto, come amministratore apostolico nel 1954, quando il vescovo morì. Questa la versione di monsignor Béjot: «Le Corbusier esprimeva la sua ossessione dell’indicibile, io non posso trovarmi d’accordo con la qualifica di materialista… se non per il fatto che egli aveva senso del materiale».
Anche una volta costruita, la cappella continuò a trovarsi in acque agitate. Le Corbusier venne messo sotto accusa in particolare da Nikolaus Pevsner e in Italia da Giulio Carlo Argan, per aver leso il credo razionalista. Ma a rompere gli schieramenti si alzò la voce di Ernesto Nathan Rogers, allora direttore di «Casabella», il quale a proposito di Ronchamp parlò di «profonda immedesimazione nelle idealità altrui» attraverso il «potenziamento fino alla sublimazione di ogni simbolo che sia degno di un pensiero poetico».
È una polemica che fa parte della storia dell’architettura moderna e che nel libro viene ricostruita con chiarezza senza cedere a uno spirito di parte. Del resto ogni schematismo s’infrange davanti alla libertà di Le Corbusier, che mentre concludeva il cantiere di Ronchamp si era già impegnato in un altro progetto di committenza ecclesiale, sempre su stimolo di padre Couturier. Si trattava del convento domenicano di La Tourette, vicino a Lione, in cui la grammatica architettonica veniva completamente ribaltata, con il ritorno alle forme primarie, cioè pianta quadrata e prismi. Una struttura formidabile, concepita come una fortezza, quasi un rifugio antiatomico per un’istituzione sotto assedio, come stava accadendo alla Chiesa esposta all’imminente valanga della secolarizzazione. Se a Ronchamp la fede popolare teneva vivo il culto e il pellegrinaggio, e quindi l’edificio pensato come un grande guscio mostrava di sapersi ben sollevare da terra, a La Tourette la chiesa del convento è quasi catacombale, affondata dentro le strutture e illuminata solo grazie ai grandi «cannoni» che fanno piovere luce dall’alto. Insomma, a differenza dei suoi detrattori, Le Corbusier mostrava il suo anti schematismo, dando ogni volta peso a quei fattori di contesto che potevano cambiare il dna di un progetto.
L’architetto era anche consapevole (e avvertì pubblicamente del rischio) di come le sue soluzioni avrebbero potuto dar luogo a degenerazioni imitative, grazie a maldestri epigoni: la storia di tanta brutta architettura religiosa del secondo Novecento dimostra come purtroppo Le Corbusier ci avesse visto giusto. Ronchamp è stata completamente equivocata diventando pretesto di edifici arbitrari, accettati da una committenza allo sbando.
Un’ultima nota obbligata è per il bellissimo apparato fotografico del volume, realizzato, come detto, dallo studio Bamsphoto-Rodella. Un apparato che indaga su tutti i dettagli, svelando le mille soluzioni, pertinenti alle funzioni e comunque geniali, che Le Corbusier ha messo in atto a Ronchamp. Una su tutte, la magnifica parete sud, in cui le buche pontaie sono diventate punti di luce, con gli spessori di parete riempiti dal colore pieno filtrato dai vetri.
Le Corbusier tornò una sola volta a Ronchamp, il 6 ottobre 1959. Sul libro dei commenti dei visitatori lasciò queste parole: «Grazie a tutti voi che la utilizzate; sono ricompensato».

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