I turisti che da piazza Pitagora si addentrano nelle viuzze strette di Crotone (gli «stritti»), salgono e si inerpicano nel dedalo del centro storico che conduce in piazza Castello trovano, ignari, un cartello sul portone d’ingresso dell’antico maniero medievale di Crotone (sec.IX) e della fortezza militare angioina ed aragonese: «Avviso: chiediamo scusa ai signori turisti a nome di tutti i crotonesi. Il Castello Carlo V è chiuso. Ci scusiamo anche per chi avrebbe dovuto farlo ma ancora non lo ha fatto».

Dopo gli esposti alla magistratura, le petizioni con 2 mila firme e le manifestazioni di piazza, i comitati che da anni lottano per la riapertura non hanno altra arma che l’amaro sarcasmo per ridestare una città che pare ormai sopita. Fu il vicerè Pedro da Toledo a volere, nel 1541, la costruzione di questo possente apparato difensivo, secondo programmi di protezione delle coste dagli assalti turchi. Crotone fu allora racchiusa da una formidabile cinta bastionata. E, nel sito dell’antica acropoli greca, venne edificato l’attuale castello, poderosa costruzione a pianta poligonale, con fossato e torrioni cilindrici angolari. Prima della sua inaspettata chiusura era la più grande roccaforte esistente nella costa jonica da Taranto a Siracusa. Era. Perché dal 5 aprile 2018 il castello Carlo V è sì una fortezza inaccessibile, ma stavolta al pubblico, compresi i servizi culturali attivi al suo interno. Fu l’allora sindaco Ugo Pugliese (Iv) a chiuderlo a seguito del rinvenimento di materiale contenente Tenorm, responsabile di valori anomali di radioattività ambientale. Le successive rilevazioni eseguite per conto del ministero, tuttavia, hanno accertato che la sede della biblioteca e del museo civico, come altri parti del castello, non fossero contaminate. Malgrado ciò, la commissione tecnica prefettizia non ha mai proceduto a delimitare l’area interessata dal rischio di contaminazione. Dopo un lungo tira e molla e incalzato dai movimenti, il 13 luglio il sindaco Enzo Voce (Tesoro Calabria) ha finalmente firmato l’ordinanza di riapertura parziale. Ma per il comitato Antica Kroton si tratta solo di una presa in giro. Il primo cittadino ha infatti condizionato la riapertura effettiva a un bando diretto alle «associazioni del territorio» per la gestione e la logistica della struttura. E così il castello resta ancora serrato per cittadini e turisti. In piena estate, con un grosso danno d’immagine ed economico per la città. Peraltro a fine settembre erano già stati messi in conto i lavori di ristrutturazione della «Torre aiutante» e in autunno l’area sarà gioco forza cantierizzata. Ma oltre al danno anche la beffa.

Perché la bonifica dal Tenorm è scomparsa dall’agenda. Il ministero non ha i fondi. «Il Mibact, essendo il castello un bene demaniale, ha elaborato il progetto di bonifica e messa in sicurezza delle aree contaminate da Tenorm- ci spiegano Linda Monte e Filippo Sestito. Ma da allora nulla è cambiato. Della bonifica integrale del sito neanche si parla più. Solo dopo una lunga mobilitazione il sindaco ha incaricato un esperto in radiometria per predisporre lo studio di valutazione dei rischi finalizzato alla riapertura parziale». E nella sua relazione il consulente Fiorello Martire ha messo nero su bianco che «il castello può essere parzialmente riaperto, delimitando le aree interdette». Ma il castello per un motivo o per l’altro resta ancora chiuso e «i diritti dei cittadini continuano ad essere inaccessibili e la dimensione culturale del nostro territorio sempre più mortificata» concludono gli attivisti. Che preannunciano azioni eclatanti. Persino l’occupazione del maniero. Ugualmente sconcertati gli archeologi calabresi. Francesco Cuteri, docente di beni culturali presso l’Accademia di belle arti di Catanzaro, che da decenni si occupa del recupero dei luoghi storici di Calabria, è categorico: «Il castello di Crotone è il simbolo stesso della città. Nel bene e nel male. È la fortezza che nel momento del pericolo ha assicurato il benessere della popolazione. Il luogo di stabilità, il posto in grado di dar vita alla città, grazie anche al collegamento al porto sottostante. Un porto sempre attivo, l’unico in Calabria a non aver mai interrotto il cruciale contatto con il Mediterraneo». Il castello che racconta le fasi storiche, con le sue torri e i bastioni, i camminamenti e gli immensi spazi. Un posto che rievoca i meccanismi di difesa e i cambiamenti degli stessi, in vista di aggressioni costanti. Il che vuol dire che la fortezza è la presenza silenziosa dei fantasmi del passato. Creazione e distruzione. Una memoria imprescindibile. A partire dai libri antichissimi che ivi marciscono da quasi 5 anni. «Tenerlo chiuso – rimarca Cuteri – non solo è squalificante, ma preclude la possibilità di una conoscenza diversa del territorio, non solo della città di Crotone.

Così come una messa in sicurezza, senza l’eliminazione dei rifiuti pericolosi e radioattivi, impedisce di dare una tranquillità anche solo psicologica ai potenziali fruitori». Che potrebbero essere tanti, se si raccontasse una storia che è di fatto importante e che si conclude con la battaglia di Lepanto. Un turismo culturale, da fare in sinergia anche con i castelli (aperti al pubblico) di Santa Severina e di Le Castella, altri gioielli incastonati nel mare turchese della regione. Invece Crotone, un tempo culla di civiltà, vive oggi il suo cupio dissolvi. Un castello «fantasma» e un‘area archeologica attorno alla colonna dorica (unica superstite del Tempio di Hera nell’antico Capo Lacinio), abbandonata al degrado e trasformatasi in zona industriale, terreno e mare fertili di estrazioni e trivellazioni. Mentre ministero e comune, impassibili, stanno a guardare.