Gli attacchi aerei israeliani in Siria si stanno intensificando. Lo metteva ieri in rilievo il giornale Haaretz, aggiungendo che Benyamin Netanyahu ha dato carta bianca al capo di stato maggiore Aviv Kochavi per continuare i raid, approfittando dell’attenzione internazionale concentrata sul coronavirus. Passano inosservate le vittime civili dei bombardamenti in ogni punto della Siria: intorno a Damasco, a sud, a nord, ad est verso il confine con l’Iraq e a ridosso del Golan occupato.

La giustificazione data da Israele, sin dal 2012, è che quei raid servono ad impedire che l’Iran rafforzi le sue posizioni in Siria e che armi sofisticate arrivino al movimento sciita libanese Hezbollah. Gli ultimi sono avvenuti lunedì notte nei pressi di Dayr az Zor e di Aleppo, dove sarebbe stato colpito un «centro di ricerche».

Non è solo l’attenzione generale rivolta alla pandemia che spinge Tel Aviv a intensificare gli attacchi. Governo e servizi di intelligence con ogni probabilità ritengono che Damasco, entrata nel suo decimo anno di guerra interna, stia vivendo un momento di forte fragilità politica e che questa debolezza vada acuita a danno del presidente Assad. In questi ultimi giorni è emerso un duro scontro in atto tra Assad e il suo ricco cugino Rami Makhluf, uno tra i più potenti e influenti uomini d’affari siriani accusato di evasione fiscale per 300 milioni di dollari. Pare sia agli arresti domiciliari (secondo qualcuno invece è scappato negli Emirati).

Decine di persone del suo entourage e quadri medio-alti di Syriatel, una delle due compagnie di telefonia cellulare di sua proprietà, sono o sarebbero finite in manette. Arresti compiuti, scrive qualcuno, con la partecipazione di poliziotti russi (Mosca è alleata della Siria dove ha importanti basi militari).

Non è chiaro come si sia spenta la stella di Rami Makhluf, generoso finanziatore del partito Baath al potere e alleato del presidente. Makhluf grazie ai suoi rapporti con il potere in questi anni ha accumulato enormi ricchezze, stimate in 18 miliardi di dollari, e controlla una porzione significativa dell’economia siriana, dal turismo alla finanza.

La caduta in disgrazia però non è stata improvvisa poiché già un anno fa giravano indiscrezioni su tensioni tra il proprietario di Syriatel e il governo. E si parlava dell’ascesa di un altro magnate, Samir Fouz, interessato a ricostruire la Siria devastata dalla guerra. Makhluf sabato scorso sui social ha denunciato, facendo clamore, la sua condizione attuale e ha rivolto un appello al cugino presidente.

Qualche giornale italiano spiega quanto accade come una lotta di palazzo, l’esito di gelosie interne «al regime» e di manovre della first lady Asma cadendo nel cliché maschilista che vuole le mogli di capi di stato e di governo in certi paesi pronte a dirottare le politiche nazionali per vanità e sete di soldi. E non manca chi sostiene che dietro tutto ci sia Mosca.

«La caduta di Makhluf va inquadrata in un riequilibro ai vertici politici ed economici» ci spiega una fonte in Siria che ha chiesto l’anonimato «la condizione del paese è disastrosa, la popolazione è allo stremo, i sussidi statali non bastano e la povertà si diffonde. Il coronavirus ha reso tutto ancora più grave». In questa situazione drammatica, aggiunge la fonte, si è posto il problema di Makhluf, ricco ed evasore fiscale. «Qualcuno ha chiesto la sua testa e Assad non ha potuto non sacrificare suo cugino, anche per dare un segnale di imparzialità ad una popolazione in grande difficoltà».

Il governo siriano è alla disperata ricerca di fondi. Il bilancio di 9,1 miliardi di dollari per il 2020 si è svalutato rapidamente di pari passo al crollo della lira siriana scesa a minimi storici.