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Il caso Hakeem Al-Araibi

Il caso Hakeem Al-Araibi

Sport L'incredibile vicenda del difensore del Bahrein, torturato dal governo del suo paese per attivismo durante la primavera araba. Fuggito in Australia è stato fermato durante una vacanza a Bangkok dall'Interpol

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 7 febbraio 2019

Perseguitato, torturato dal governo del suo Paese per l’attivismo durante la primavera araba. E ora in carcere senza un perché da oltre un mese in Tailandia. La vicenda di Hakeem Al-Araibi, 25enne difensore del Bahrein, è finita nelle ultime ore sulle copertine del calcio internazionale. Si trova – e resterà fino al 22 aprile, data della prossima udienza stabilita da un tribunale di Bangkok – in stato di reclusione da novembre, fermato all’aeroporto della capitale del paese asiatico per aver appiccato un presunto incendio doloso in una stazione di servizio, episodio risalente a sette anni prima, nel suo Paese. In realtà Al-Araibi era nelle mire del governo del Bahrein, ovvero la famiglia Al Khalifa, per aver preso parte alle proteste durante la primavera araba.

L’ AUSTRALIA, il paese dove Al-Araibi anni fa si è rifugiato per sfuggire al terrore, ha invocato pochi giorni fa il suo rilascio alla magistratura tailandese, senza risultati. E lo stesso aveva fatto il 9 dicembre, rompendo il silenzio intorno a questo incredibile caso. Con l’Onu che poi a sua volta ha rivolto un appello alla Tailandia per la liberazione del calciatore, quasi un mese dopo l’arresto. Mentre ora i sostenitori della causa del difensore in carcere stanno invocando anche sanzioni da parte della Fifa e del Comitato olimpico internazionale contro Tailandia e lo stesso Bahrein. Insomma, il caso è divenuto internazionale, anche perché le immagini del calciatore al processo a Bangkok sono diventate virali, sul web: a piedi scalzi, con le catene alle caviglie e alle mani, poche parole, compreso l’appello a non essere rispedito in Bahrein, il terrore delle violenze.

L’INCUBO per Al-Araibi è iniziato a fine 2012: arrestato, rinchiuso in carcere per tre mesi, sottoposto a violenze e torture con danni alle gambe che gli stavano per costare la carriera. Violenze inflitte per aver partecipato a sommosse antigovernative contro la famiglia sunnita durante la primavera araba. Due anni dopo è arrivata la vendetta della famiglia Al Khalifa: dieci anni di carcere per aver incendiato una stazione di polizia a Manama. Al-Araibi ha sempre sostenuto che era in Qatar, per una partita.

E PER NON FINIRE in carcere, sotto tortura, il difensore è fuggito in Australia, dove gli è stato riconosciuto il diritto di asilo e pure una seconda chance con il calcio, al Pascoe Vale Fc, seconda divisione. Da rifugiato, Al-Araibi si è scagliato contro il vicepresidente della Fifa e presidente della confederazione asiatica, Ibrahim Al Khalifa, per il mancato supporto agli atleti sciiti durante le sommosse antigovernative. Sino all’arresto a Bangkok da parte dell’Interpol, che non potrebbe mettere le manette a chi possiede lo status di rifugiato. Era in vacanza con la moglie, ora si trova con le catene alle caviglie.

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