Il caso Gentile svela la ragnatela di interessi che addomestica i giornali
Così è la libertà in Calabria? Fatevi un’idea. Ascoltate la registrazione integrale della telefonata tra l’editore de L’Ora della Calabria, Alfredo Citrigno e il presidente di Fincalabra Umberto De Rose […]
Così è la libertà in Calabria? Fatevi un’idea. Ascoltate la registrazione integrale della telefonata tra l’editore de L’Ora della Calabria, Alfredo Citrigno e il presidente di Fincalabra Umberto De Rose […]
Così è la libertà in Calabria? Fatevi un’idea. Ascoltate la registrazione integrale della telefonata tra l’editore de L’Ora della Calabria, Alfredo Citrigno e il presidente di Fincalabra Umberto De Rose (ente di nomina regionale), impegnati a scongiurarela pubblicazione di una notizia compromettente, fino a sabotare nella notte l’uscita del giornale con un finto blocco sulle rotative. È una prova di forza che mette i brividi. «Caccia ’sta cazz’i notizia sui Gentile», sbotta a un certo punto De Rose, stampatore de L’Ora della Calabria. In frasi come questa, rigorosamente pronunciate in un dialetto fangoso ma toccante, dentro il raggelante recitativo pop di questa registrazione degna di un b-movie malavitoso, corre il bignami di ideologia e prassi dei poteri forti in questa regione; il limite ultramafioso di sottintesi e minacce travalicato per lessico e sostantivi. Uno è stato sino al 2011 l’uomo forte di Confindustria in Calabria, l’altro è l’editore di un giornale che da anni fa dossieraggio e produce notizie-fanghiglia. Ecco in un esempio di specie chi e cosa sono i colletti grigi, il partito dei cazzi tuoi/cazzi miei che paralizza la vita civile e mette il bavaglio ai calabresi perbene. E adesso chiedetevi anche chi è il nuovo Sottosegretario alle Infrastrutture (con implicita delega ad appalti e cantieri infiniti della Salerno-Reggio C.) del governissimo Renzi. In Calabria niente è mai come appare.
«La ’ndrangheta è viva e marcia insieme a noi». Il 25 settembre 2010 a Reggio Calabria marciavano in molti dietro a questo striscione. Anche allora in testa c’erano le avanguardie scelte dei colletti bianchi, la zona grigia di un potere con solidi ganci nel sottogoverno e forti leve nell’establishment locale. I peggiori sono i ramarri del posizionamento, quelli che hanno potere anche sulla parola e possono mettere il veto su tutto. Anche gli editori e i direttori dei giornali che proclamano i raduni antimafia. Predicano bene e razzolano male. Molto male, tagliando le voci libere e fuori dal coro. Loro ci sono sempre, in prima fila, tra gli organizzatori. Altro che ultima trincea della democrazia. «Un giornale in Calabria galleggia solo se lo sai vendere alla classe dirigente locale, che non può essere un bersaglio continuo della testata, altrimenti ti isolano», ha dichiarato Paride Leporace, una voce scomoda, una giornalista libero e non allineato, che in Calabria infatti, dopo aver diretto Il Quotidiano e Calabria Ora, di quotidiani non ne dirige più da qualche anno. I giornali calabresi sono strane imprese; hanno infatti pochissimi lettori, ma molti sponsor, specie tra i politici. Succede anche perché chi li dirige preferisce confondere la libertà di critica dei giornalisti e l’impegno degli scrittori civili e degli intellettuali veri – sempre contro per scomodità di funzione, come insegnava Sciascia – col lavoro degli uffici stampa di assessorati e ambienti confindustriali, di lobbisti e velinari di partito.
Il Quotidiano della Calabria, «il giornale della Calabria che cambia» si è scordato pure lui di dare la notizia sui Gentile, e a cose fatte ha chiesto scusa ai suoi lettori «per aver bucato la notizia». Il cerchiobottismo impera. Di questi tempi i giornali in Calabria sono diventati una specie di blobbone dove si mescola di tutto: campagne progredite e cronaca nera, scandali e notiziole insulse, gossip e veline diramate dalle segreterie di partito, futili pistolotti intellettuali e petizioni di principio. Basta non scontentare mai chi comanda. A troppi le cose vanno benissimo così come sono: con la mafia, la corruzione politica e amministrativa, gli scambi di favori. Ha ragione Leporace quando scrive su Facebook che «abbiamo tutti grande responsabilità nell’aver creato una sorta di Gomorra governativa nel Mediterraneo». Anche questo andazzo è mafia. È politicamente conveniente, non scatena conflitti ma scaramucce, è socialmente accettato perché trasversale e panoptico. Per la democrazia e la vita civile, per la moralità delle esistenze individuali e collettive, questo sistema non è meno devastante della mafia “militare”.
Ma qualcosa cambia, fuori dai giornali. La sopravvivenza della stampa di regime anche in Calabria è minata dalla controinformazione che passa dal web. La disobbedienza civile, il protagonismo di un’opinione pubblica sana, un senso più ampio di comunità, la testimonianza di nuovo impegno civile nella cultura, le voci di una libertà intellettuale purtroppo ancora isolata e minoritaria sono davvero l’unica risposta democratica al sopruso. Sacrosanta.
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