Il caso della provincia di Ancona, confini chiusi ma dentro è zona gialla
Marche La soluzione del presidente Acquaroli che decide di non decidere: limitati gli spostamenti in ingresso e uscita, ma all’interno tutto o quasi è permesso
Marche La soluzione del presidente Acquaroli che decide di non decidere: limitati gli spostamenti in ingresso e uscita, ma all’interno tutto o quasi è permesso
Fino alla mezzanotte di domani Ancona resterà un’isola rossa in mezzo a una regione gialla. L’ordinanza diramata mercoledì dal governatore marchigiano Francesco Acquaroli ha stabilito che dalla provincia del capoluogo non si può entrare né uscire – salvo le solite «comprovate esigenze» – ma all’interno dei confini bar e ristoranti restano aperti secondo le regole della zona gialla. Una sorta di lazzaretto a cielo aperto, peraltro per un periodo di tempo ridottissimo (cinque giorni), che Acquaroli giustifica così: «È un provvedimento precauzionale necessario per mitigare i flussi dei cittadini e monitorare l’andamento del contagio». In realtà la sensazione è che l’ordinanza di chiusura sia arrivata più per motivi estetici che pratici: se si esclude Ancona, infatti, il resto della regione presenta numeri decisamente migliori, isolare quella provincia vorrebbe essere un modo per salvare capra e cavoli senza arrivare a una soluzione chiara. Dal Pd l’accusa rivolta all’amministrazione è quella di sempre: «Decidono di non decidere», sostiene la consigliera regionale Anna Casini. «Acquaroli dimostra ancora una volta enorme improvvisazione – prosegue -: pensare di perimetrare una provincia come una grande zona gialla con i contorni rossi crea solamente incomprensioni e dubbi ai cittadini».
In tutto questo, i dati nelle Marche continuano a peggiorare in maniera lenta ma costante, anche se l’indice Rt è ancora sotto quota uno e dunque, almeno per un’altra settimana, la regione continuerà ad essere gialla. Ogni decisione, comunque, verrà presa oggi e dalle stanze del governo regionale trapela un certo ottimismo.
Ieri i nuovi casi di Covid si sono assetati a quota 532, dopo l’esame di 7.399 tamponi, con 4.994 nuove diagnosi che portano il tasso d’incidenza dei positivi al 10.7%. I ricoverati sono 599, di cui 79 in terapia intensiva e 151 in semi-intensiva. Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda del punto di vista: la fase discendente del numero dei contagiati (e dei ricoverati) si è interrotta ormai una settimana fa, e in assenza di provvedimenti i numeri potrebbero diventare problematici nel giro di poco tempo, mentre non si hanno ormai più notizie sull’aumento dei posti letto (fermi a un misero più quattordici rispetto all’inizio della pandemia) né sono all’orizzonte nuove assunzioni nel comparto sanitario.
A preoccupare è soprattutto la cosiddetta variante inglese. «Nell’anconetano è ormai predominante – spiega il professor Stefano Menzo, primario di virologia degli Ospedali Riuniti di Ancona -, il sorpasso delle altre varianti sta già avvenendo dappertutto, prenderà piede ovunque perché è effettivamente più contagiosa, e quindi dovremo farci i conti». Per Menzo, comunque, «è tardi per pensare alle chiusure, a questo punto non cambierebbero niente. Viceversa diventerebbe problematico pensare a nuove aperture». Acquaroli naviga a vista, con la speranza che qualcuno (leggi: il governo) tolga le castagne dal fuoco al posto suo.
Sul fronte delle vaccinazioni, nelle Marche si procede a rilento. Da domani dovrebbero cominciare gli over 80, con 62mila persone già prenotate (circa la metà del totale), mentre dal primo marzo si dovrebbe partire con il personale scolastico. Il problema è che nel piano dell’assessore leghista Filippo Saltamartini ci sono diversi buchi, soprattutto sul fronte dei punti per la vaccinazione, con moltissimi comuni ancora scoperti.
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