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Il caso Assange e la democrazia in tempi di guerra

Il caso Assange e la democrazia in tempi di guerraJulian Assange – Ap

Al Consiglio d’Europa Il Diritto alla Conoscenza riguarda il futuro di tutti noi, di tutti noi democratici: in gioco vi è la formazione di possibili alternative nei processi decisionali che devono essere dibattute apertamente in un confronto adeguato, nei luoghi legittimi per orientare il più possibile le scelte politiche e prevenire decisioni sbagliate.

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 1 luglio 2022

Pochi giorni fa il ministro dell’Interno britannico, Priti Patel, ha autorizzato L’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti dove lo aspettano una detenzione preventiva indefinita in un carcere di massima sicurezza, un processo sulla cui regolarità e trasparenza vi sono più ombre che garanzie, una condanna a 175 anni di reclusione e nessuna possibilità di riduzione della pena.
Un anno fa, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce) ha adottato a stragrande maggioranza un rapporto curato dal collega Rampi con cui è stato riconosciuto il diritto alla conoscenza. Diritto che si intreccia con la libertà di stampa, sia on-line che off-line, e con la cultura democratica.

La scorsa settimana, poco dopo la decisione della Patel che, assieme a molti colleghi parlamentari, giornalisti, analisti, semplici cittadini, ritengo del tutto ingiusta, ho preso parte al dibattito nella plenaria dell’Apce sul Rapporto Reiss. Esso mira a rafforza la libertà di stampa e sono soddisfatto per aver inserito con successo alcuni emendamenti che denunciano l’effetto intimidatorio contro i giornalisti derivante dall’estradizione e il pericoloso precedente che questa creerebbe.

Già il 20 febbraio 2020, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, si era espressa contro l’estradizione perché la potenziale estradizione di Julian Assange avrebbe implicazioni sui diritti umani che vanno ben oltre il suo caso individuale. L’accusa solleva importanti interrogativi sulla protezione di coloro che pubblicare informazioni riservate nell’interesse pubblico, comprese quelle che espongono violazioni dei diritti umani. (…) qualsiasi estradizione a una situazione in cui la persona coinvolta sarebbe a rischio reale di tortura o trattamento inumano o degradante sarebbe contrario all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il Diritto alla Conoscenza riguarda il futuro di tutti noi, di tutti noi democratici: in gioco vi è la formazione di possibili alternative nei processi decisionali che devono essere dibattute apertamente in un confronto adeguato, nei luoghi legittimi per orientare il più possibile le scelte politiche e prevenire decisioni sbagliate. Ciò è stato sintetizzato anche nel Rapporto della Commissione d’inchiesta Chilcot creata nel 2009 su impulso governativo nel Regno Unito a seguito dello scellerato attacco militare all’Iraq nel marzo 2003.

Il Rapporto finale, del 2016, definisce l’intervento in Iraq come affrettato, sanguinoso e destabilizzante; era possibile considerare altre opzioni pacifiche prima di scatenare la guerra, era possibile contenere Saddam Hussein. Le circostanze nelle quali il Governo Blair stabilì l’esistenza di un fondamento legale per l’azione militare sono tutt’altro che soddisfacenti. I servizi segreti non avevano stabilito al di là di ogni ragionevole dubbio che Saddam fosse in possesso di armi di distruzione di massa.

Secondo Chilcot non è vero che non si poteva prevedere la rapida ascesa del terrorismo. Blair fu messo in guardia sulla minaccia che le attività di al Qaeda, in seguito all’invasione, potessero aumentare.

È l’amaro paradosso della vicenda Assange: da un lato c’è il fondatore di Wikileaks che rischia l’ergastolo per aver agito da giornalista portando alla conoscenza fatti tragici e violazioni dei diritti umani; dall’altro c’è chi non corre alcun rischio nonostante abbia mentito, ingannato, distrutto, destabilizzato Paesi e, non ultimo, il funzionamento e il prestigio della democrazia parlamentare.

Nel 1961, il Presidente americano Eisenhower mise in guardia contro il complesso militare industriale.
Un attualissimo discorso di commiato alla nazione in cui affermò: «Non dobbiamo dare nulla per scontato, solo una cittadinanza vigile e consapevole può contribuire all’integrazione dell’enorme complesso militare industriale con i nostri metodi e obiettivi pacifici, così che sicurezza e libertà possano prosperare insieme.

* Senatore del gruppo Pd, presidente commissione Archivio e Biblioteca del Senato

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